I numeri aggiornati sono dell'Istat, attraverso il rapporto annuale "Italia in cifre 2014": la maggior parte dei docenti lavora nelle superiori (204.242 su 126.056 classi) e nella primaria (201.226 su 146.403 classi). Alle medie ci sono 139.247 prof per 82.565 classi. La scuola d'infanzia, infine, si avvale di 81.352 maestri operanti in 72.793 classi. Il fabbisogno ufficiale di classi è però sottostimato: i 90mila alunni iscritti in più degli ultimi tre anni sono stati "spalmati" in quelle già esistenti. E nel frattempo sono spariti 150mila insegnanti.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): in Italia i dati ufficiali indicano un numero di alunni per docente irreale, perché si continua a non scorporare quelli di religione e di sostegno. E il riconoscimento sociale della professione rimane una chimera se si continuano a tenere le buste paga dei professionisti della formazione anche del 50% in meno rispetto ai colleghi dell'area Ocse. E che dire del turn over quasi bloccato, dell'età pensionabile portata a livelli massimi e delle donne-prof costrette a rimanere in cattedra fino a 67 anni?
Si svolge oggi la XX Giornata Mondiale degli Insegnanti: quest'anno in Italia, su indicazione della Campagna Globale per l'Educazione (CGE-IT), la celebrazione si soffermerà sulle "crisi di apprendimento", derivanti dal fatto che non sempre tutti i bambini hanno insegnanti preparati, motivati, in grado di identificare e supportare gli studenti più deboli e in numero sufficiente perché la carenza di insegnanti si traduce spesso in classi troppo numerose per garantire un apprendimento di qualità.
Secondo i dati forniti in queste ore dall'Istat, attraverso il rapporto annuale "Italia in cifre 2014", l'organico degli insegnanti italiani si compone in tutto di 626.067 unità. La maggior parte è in servizio nella scuola media superiore (in 204.242 su 126.056 classi) e nella primaria (201.226 suddivisi su 146.403 classi). Nelle scuole medie sono impegnanti 139.247 insegnanti per 82.565 classi. La scuola d'infanzia, infine, si avvale di 81.352 maestri operanti in 72.793 classi. Il fabbisogno ufficiale di classi è però sottostimato: basta dire che quest'anno in Italia si è registrato un incremento di circa 33.000 alunni, circa 90mila nell'ultimo triennio, ma ciò non è bastato per far incrementare l'organico dei docenti. Anziché creare 4mila nuove classi, si è fatto finta di nulla, "spalmando" gli iscritti in più nei raggruppamenti scolastici già esistenti, giustificando il tutto sempre con l'intoccabilità degli organici dei docenti. Che continua a rimanere orfana dei 200mila posti, di cui 150mila docenti, tagliati a partire dal 2008 con la fantomatica Legge 133.
SI LAVORA IN CLASSI NUMEROSE
Il risultato di questa politica è che si sono raggiunti casi limite di classi composte fino ad oltre 40 alunni, a volte anche con 4 alunni disabili e con lo Stato risultato inadempiente tre volte: realtà scolastiche da terzo mondo, sdoppiate alla fine dagli uffici scolastici del Miur ma solo ad anno scolastico iniziato e a seguito di denunce pubbliche e circostanziate. E non bisogna farsi ingannare dagli ultimi dati ufficiali, pubblicati sempre dall'Istat, che collocano la media nazionale di alunni per insegnante tra i 12,3 (scuola media) e i 14,6 (scuola dell'infanzia): se ci ritroviamo, seppure ormai di poco, ancora sotto la medie Ocse è solo per la folta presenza, tutta italiana, di insegnanti di sostegno (110mila, a fronte di oltre 220mila alunni con handicap pari a 2,5% del totale), e degli insegnanti di religione (30mila).
"Se si scorporassero queste due tipologie di docenti – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – saremmo ora a commentare tutt'altri dati. Non a caso, solo poche settimane fa il primo rapporto internazionale sull'Efficienza della spesa per l'educazione, condotto da Peter Dolton, esperto mondiale di economia dell'educazione della London School of Economics, riportava che l'Italia potrebbe ottenere risultati Pisa ai livelli ragguardevoli della Finlandia, se riducesse il rapporto insegnante-allievo da 10,8 a 8,2 (-24,4%). Ma anche se si aumentasse la busta paga dei docenti dalla media attuale di 31.460 dollari a 34.760 dollari (+10,5%)".
STIPENDI SOTTO TRA IL 30% E il 50%
"Quella dell'esperto mondiale di economia dell'educazione – continua Pacifico – è stata una disanima sulla nostra istruzione a dir poco lucida: del resto, la qualità dell'istruzione è inversamente proporzionale al numero di alunni per classe. E anche la politica tutta italiana del far quadrare i bilanci dello Stato sulla pelle del personale si è reputata a dir poco fallimentare. Il recente rapporto 'Sguardo sull'educazione' dell'OCDE – Direzione dell'educazione e delle competenze, ha rilevato che i nostri insegnanti percepiscono quasi la metà dello stipendio di un collega tedesco, e rispetto alla media Ocde il 30% in meno".
"Ora, se passerà la riforma della scuola italiana, proposta con le linee guida pubblicate da alcuni giorni, i nostri docenti si ritroveranno senza aumenti stipendiali fino al 2018. Per il 34% di quelli di ruolo, reputati poco meritevoli, la condanna allo stipendio congelato - oltre 4 punti sotto l'inflazione e in media 8mila euro l'anno in meno degli altri Paesi - si allungherà addirittura fino al 2021. Tutto ciò, a fronte di un orario di insegnamento annuale pressappoco uguale: in Italia 770 ore nella primaria – OCSE 790; 630/709 nella secondaria di primo grado, 630/664 nella secondaria di secondo grado. Come si fa a parlare di riconoscimento sociale della professione in queste condizioni?", chiede Pacifico.
Tabella [1]
Stipendio | Italia | Ocde | Germania | Olanda | Inghilterra | Francia | Grecia |
Materna | 30.046 | 33.644 | * | 43.909 | 38.654 | 31.413 | 20.222 |
Elementare | 30.046 | 36.324 | 52.417 | 43.909 | 38.654 | 31.163 | 20.222 |
Media | 32.495 | 38.148 | 57.647 | 52.303 | 42.576 | 37.130 | 21.056 |
Superiore | 34.506 | 41.482 | 62.793 | 52.303 | 42.576 | 40.675 | 21.056 |
[1] Fonte: Le Monde, 10 settembre 2014, p. 7 (elaborazione Dati Ocde).
SEMPRE PIÙ ANZIANI
Ma oltre ad essere di numero ridotto e sottopagati, i docenti italiani si contraddistinguono dagli altri per l'età sempre più alta: vengono mediamente assunti a titolo definitivo solo dopo i 40 anni – quest'anno sono state convocate per essere immesse in ruolo addirittura delle insegnanti ultrasessantenni -, ed oltre il 60% dei docenti di ruolo ha almeno 50 anni. Mentre appena lo 0,5% di docenti ha meno di 30 anni. Se non cambieranno le norme, il futuro che aspetta le nuove generazioni è fatto di insegnanti dai capelli prevalentemente bianchi.
A seguito della riforma pensionistica Monti-Fornero, i requisiti per la pensione di vecchiaia saranno infatti costantemente più alti: nel 2018 per entrambi i sessi serviranno, infatti, quasi 67 anni di età anagrafica. Una soglia impensabile meno di 20 anni fa, almeno per le donne, che nel 1995 potevano lasciare il lavoro anche a 55 anni di età. Già oggi, ad un anno e mezzo dall'entrata in vigore della nuova legge Monti-Fornero sulle pensioni gli effetti sono stati evidenti: quest'anno hanno lasciato il lavoro circa 11mila docenti e 4mila Ata. Mentre 12 mesi prima erano stati complessivamente 28mila. E nel 2007 oltre 35mila. Se non è un blocco del turn over, ci manca davvero poco.
8 SU 10 SONO DONNE
Nell'incrementare questa soglie a livelli massimi, il legislatore è apparso davvero poco lungimirante: non ha infatti minimamente considerato che l'insegnamento è ad alto rischio burnout, una condizione che deriva dall'alto logorio che la professione arreca su chi lo conduce per troppi anni consecutivi. Ma nemmeno che la donna dopo i 50 anni presenta spesso problemi fisiologici di salute ed è soggetta a patologie. E nella scuola l'81% dei docenti sono donne: già oggi, nel 2014, le norme per accedere all'assegno pensionistico hanno portato le lavoratrici statali a lasciare il servizio solo, sempre se in possesso dei versamenti necessari, solo a 63 anni e 9 mesi. Mentre per quelle che non posseggono il requisito dell'età anagrafica, l'anzianità contributiva è diventato di 41 anni e 6 mesi (per gli uomini un anno in più).
Nei prossimi anni, a seguito dell'inserimento nei nuovi calcoli introdotti dalla riforma Monti-Fornero, anche i requisiti per la pensione di vecchiaia saranno sempre più alti, fino a che alle donne si richiederanno gli stessi requisiti degli uomini: nel 2018 per entrambi i sessi serviranno, infatti, quasi 67 anni (66,7). Basta dire che 20 anni, prima della riforma Amato, le donne potevano andare via anche a 55 anni. Le prospettive della riforma in atto sono, tra l'altro, terrificanti: nel 2050 si potrà lasciare il lavoro nel pubblico solamente a 69,9 anni. E per le pensioni di anzianità non andrà meglio: se nel 2016 alle donne verranno chiesti 41 e dieci mesi di contributi versati, nel 2050 gli anni diventeranno addirittura 45 (46 per gli uomini).
Per approfondimenti:
Gli stipendi dei prof italiani al palo, ma non quelli dei colleghi europei
5 ottobre 2014
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