Le
riforme attuate dal 2008, all’insegna dei tagli, hanno ridotto di un sesto
l’orario scolastico. Con un calo vistoso dei rendimenti scolastici dei nostri
alunni. Così i loro insegnanti hanno cercato di riparare incrementando il
lavoro lontano da scuola.Marcello
Pacifico (Anief-Confedir): i veri penalizzati sono gli allievi che vivono in
condizioni socio-familiari sfavorevoli. Il ragazzo studioso, invece, da sempre
passa tante ore sui libri. Il vero problema, oltre il monte ore, è anche
qualitativo: dalla primaria all’Università. Servono provvedimenti urgenti, come
l’innalzamento dell’obbligo formativo e la riduzione delle tasse: in caso
contrario il popolo dei Neet continuerà a crescere.
“Se la preparazione scolastica degli
alunni italiani è inferiore a quella di molti coetanei dell’area Ocse, la colpa
non è di certo dei troppi compiti a casa che danno i docenti, ma della loro
riduzione forzata del tempo che passano sui banchi: le riforme degli ultimi
anni, all’insegna dei tagli, hanno infatti ridotto di un sesto l’orario
scolastico, al punto che oggi l’Italia detiene il triste primato di far
svolgere solo 4.455 ore studio nell’istruzione primaria, rispetto alla media
dei 4.717 dell’area Ocse, e 2.970 in quella superiore di primo grado, rispetto
alle 3.034 di media sempre dei Paesi Ocse”. A sostenerlo è Marcello Pacifico,
presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, a commento dei dati
pubblicati nelle ultime ore sull’eccessivo carico
di compiti a casa
che i docenti italiani darebbero ai loro allievi.
Il giovane sindacato autonomo ricorda
che dall’ultima l'indagine Pisa, condotta dell'Ocse, oltre che dalle indagini
Pirls (Progress in international reading literacy study) e Timss (Trends in
international mathematics and science study) risulta chiaramente che a far fare
un bel passo indietro al nostro sistema d’istruzione non sono stati i
cambiamenti del metodo di studio adottati dai docenti, ma le riforme della
scuola. In particolare, le Leggi 133/2008 e 169/2008. È tutto dire che la
primaria, per decenni fiore all’occhiello del nostro sistema d’istruzione, solo
di recente ha fatto registrare una netta riduzione di capacità e competenze
acquisite dei nostri alunni iscritti alle quarte classi, sino a perdere ben 10
posizioni.
“I docenti, soprattutto i più esperti,
si sono evidentemente resi conto di questo calo di prestazione e di competenze
dei loro alunni – incalza Pacifico – e non potendo sopperire in altro modo sono
stati costretti a ‘caricare’ sui compiti da far svolgere a casa. Penalizzando,
chiaramente, quelli più in difficoltà e in condizioni socio-familiari
sfavorevoli, che necessiterebbero di essere seguiti in classe. Perché, in
fondo, sono questi i più penalizzati da questa situazione: il ragazzo studioso,
invece, da sempre passa tante ore sui libri. Ed è giusto che sia così”.
All’incremento del tempo scuola vanno
poi affiancati altri provvedimenti. Come il reintegro del docente specializzato
nell’insegnamento della lingua inglese. E sempre alla primaria è fondamentale
ristabilire il tempo pieno e le preziose ore di compresenza. Solo così sarà
possibile rinforzare nuovi concetti e conoscenze, senza lasciare indietro gli
alunni più in difficoltà o con tempi di apprendimento più lenti. Solo in questo
modo potremo tornare a parlare di scuola includente davvero per tutti.
“Il problema – dice
ancora il presidente Anief – è che quel modello di buona scuola è stato
sostituito con l’attuale maestro ‘prevalente’ che svolge 22 ore, a cui si
aggiunge lo ‘spezzatino’ composto delle altre materie, assegnato a diversi
colleghi. Tra questi figura pure il maestro d’inglese, però non specializzato.
Con il risultato che agli alunni si è data meno scuola. E di qualità più bassa,
perché l’offerta formativa viene proposta sostanzialmente in modo disomogeneo”.
“Inoltre, il dislivello rispetto agli
altri Paesi avanzati – continua Pacifico – non riguarda solo la primaria, ma
anche le scuole superiori. Dove i nostri alunni, soprattutto quelli del Sud e
nelle materie scientifiche, fanno registrare gap considerevoli. Anche in questo
caso occorre attuare dei provvedimenti migliorativi: assieme ad un maggiore
tempo scuola, andrebbero affiancati l’allungamento dell’obbligo formativo, da
16 anni a 18 anni, e l’avvio di stage in azienda reali e retribuiti”.
“Non va meglio all’Università, dove le
tasse richieste dai nostri atenei agli studenti hanno subito negli ultimi anni
aumenti esponenziali. Non lamentiamoci se poi soltanto il 15% degli italiani
tra i 25-64 anni ha un livello di istruzione universitario, rispetto a una
media Ocse del 32%. E se la percentuale di studenti quindicenni che spera di
conseguire la laurea è scesa dal 51,1% del 2003 al 40,9% del 2009. E se,
infine, sempre in Italia vantiamo il record di Neet tra i 15 e i 29 anni: nel
2013 i ragazzi che non lavorano e non studiano hanno avuto un aumento ancora
più consistente del recente passato, raggiungendo il 26%, oltre 6 punti
percentuali al di sopra del periodo pre-crisi”.
Per
approfondimenti:
13 dicembre 2014
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