Da un sondaggio nazionale emerge che su 1.062
partecipanti ben 956 dicono no al modello di aumenti riservati solo al 66%
degli insegnanti in servizio presso ogni istituto: un plebiscito di no, su cui
Governo e amministrazione scolastica farebbero bene a riflettere.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è forte anche la richiesta
di assegnare gli incrementi automatici pure al personale non di ruolo. Per
costoro il Miur farebbe bene a valutare meglio i posti al 31 agosto anziché al
30 giugno, oltre che a considerare risarcimenti e conversioni dei contratti a
tempo indeterminato laddove abbiano svolto 36 mesi di servizio su posti
vacanti.
I docenti
bocciano la riforma della Buona Scuola, almeno nella parte che riguarda il loro
futuro trattamento stipendiale: da un
sondaggio nazionale svolto dalla rivista specializzata ‘Orizzonte Scuola’,
è emerso che il 90% dei partecipanti non gradirebbe affatto l’introduzione del
nuovo modello, predisposto dal Governo, che darebbe accesso agli aumenti in
busta paga solo al 66% degli insegnanti in servizio presso ogni istituto
scolastico.
Il sostanziale rifiuto
del progetto sulle premialità da assegnare al merito, del resto, era già
avvenuto a seguito della consultazione
nazionale sulle linee guida di riforma, con circa la metà del personale
docente che si è detto favorevole al sistema misto (scatti e merito), a cui si
è aggiunto quasi il 20% d’accordo con il mantenimento dell’attuale modello di
carriera. Solo il Miur sosteneva il contrario, asserendo che la consultazione
dava ragione al progetto. A conferma di chi avesse ragione, oggi è arrivato un
chiaro messaggio: su 1.062 partecipanti al sondaggio nazionale, ben 956 docenti
si sono detti contrari. Solo un centinaio di insegnanti hanno sposato il
modello di aumento stipendiale riservato a due docenti su tre. Si è trattato,
in sostanza, di un plebiscito di no, su cui Governo e amministrazione
scolastica farebbero bene a riflettere.
“Dal sondaggio –
spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir
– non si rileva un dato, emerso invece nel corso dei tanti seminari formativi
organizzati nelle ultime settimane dal nostro sindacato: la forte richiesta di
assegnare gli scatti di anzianità anche al personale non di ruolo. È una
modifica della Buona Scuola che il Governo dovrà adottare, già dopo aver
vagliato attraverso il censimento nazionale in atto sugli organici di diritto,
quali sono le cattedre da attribuire effettivamente fino al 30 giugno e quelle
invece da passare al 31 agosto: si tratta di una discriminante non da poco –
aggiunge il sindacalista Anief-Confedir –, perché per il lavoratore la
differenza di stipendio, tra quello che un docente percepisce con il contratto
sino al termine delle lezioni o a fine giugno, anziché la sottoscrizione
(spesso negata) sino al 31 agosto è pari in media a 1.500 euro”.
Ma non solo: se il
precario ha svolto oltre due anni di supplenze, allora ha diritto ad una quota
stipendiale maggiore, corrispondente all’incirca ad uno stipendio in più
all’anno. Dalle indicazioni UE, confermate attraverso la recente sentenza
emessa dalla Corte di Giustizia europea il 26 novembre scorso, chi ha svolto
oltre 36 mesi di servizio merita inoltre un’indennità risarcitoria. Cui
aggiungere la conversione del contratto da tempo determinato a indeterminato. E
in taluni casi, anche una retrodatazione giuridica del servizio svolto.
Il giovane sindacato ricorda che la retribuzione dei docenti italiani è
molto al di sotto della media UE, già oggi con gli scatti stipendiali garantiti
(seppure negli ultimi anni recuperati dal Mof): figuriamoci cosa accadrebbe in
assenza di aumenti automatici legati all’anzianità di servizio. Oggi, ad inizio
carriera la retribuzione lorda di un insegnante della scuola secondaria di
primo grado è di 24.141 euro (circa 1.300 euro netti al mese). La media europea
è di 26.852. Il divario cresce a fine carriera: 45.280 euro nella media
dell'Unione europea contro 36.157 in Italia, il 25 per cento in meno che arriva
al 30 per cento nella secondaria di secondo grado, pari a quasi 9mila euro in
meno. Dati che per i precari si fanno ancora più avvilenti.
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