Le migrazioni
interne sono
strutturali nella nostra economia: lo conferma Fare spazio - Rapporto 2016
sulle
migrazioni interne in Italia,
dell’Istituto di studi
sulle società del
Mediterraneo del Cnr (Donzelli editore).
Nel 2014, 1.313.200
persone hanno
cambiato comune di residenza, anche se in calo rispetto
all’anno precedente e
con una maggiore propensione tra gli stranieri.
Sono gli
studenti meridionali
migliori che se ne vanno per studiare e la maggioranza non
torna indietro
“Nel corso del 2014
sono state
1.313.200 le persone che hanno cambiato il proprio comune di
residenza, con un leggero
calo rispetto all’anno precedente (-49.100) e una propensione a
spostarsi
maggiore tra gli stranieri, con il 48,2 per mille contro il 19,2
degli
italiani, e con una differenza di genere: tra i cittadini non
italiani sono più
le donne a spostarsi, tra gli italiani gli uomini”.
Sono i dati emersi dal volume 'Fare spazio Rapporto sulle migrazioni interne in Italia’, curato dall’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Issm-Cnr) ed edito da Donzelli.
Sono i dati emersi dal volume 'Fare spazio Rapporto sulle migrazioni interne in Italia’, curato dall’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Issm-Cnr) ed edito da Donzelli.
A parlare è Michele Colucci,
curatore del
Rapporto e ricercatore dell’Issm-Cnr. “Le migrazioni interne,
ancorché molto
meno studiate di quelle internazionali verso il nostro Paese alle
quali
comunque si legano, rappresentano un tratto strutturale
dell’economia italiana”.
Alcuni autori del Rapporto – Corrado Bonifazi, Frank
Heins
dell’Istituto di ricerca sulla popolazione e le politiche
sociali del Cnr (Irpps-Cnr),
Enrico Tucci e Francesca Licari dell’Istat – si sono concentrati
sui Sistemi
locali del lavoro (Sll), aggregazioni che suddividono il
territorio in base
alla presenza di flussi pendolari casa-lavoro comprendendo più
comuni.
“Se
usiamo i Sll per indagare gli spostamenti di residenza, si
notano il
rallentamento degli spostamenti dal Sud al Centro-Nord e
l’attrattività di
alcune aree urbane: nel 2013-14 nel Sll Roma sono entrate 38.000
persone e ne
sono uscite 30.000, a Milano 45.000 contro 37.000 uscite. Anche
il Sll di
Bologna ha un saldo positivo”, affermano gli autori.
Roma peraltro, come attesta lo studio di
Massimiliano
Crisci dell’Irpps-Cnr, nel 2009-2014 ha conosciuto un saldo
migratorio positivo
del 7,7‰.
La
città con
l’avvio della crisi economica ha visto aumentare il saldo
migratorio anche
grazie ad una quota crescente di giovani che vi hanno trasferito
la residenza
dal Mezzogiorno.
Il contributo di Crisci separa la città di Roma
in tre fasce:
quartieri centrali, periferia interna al Grande Raccordo Anulare
e periferia
esterna al Gande Raccordo Anulare.
Tra il 2009 e il 2014 si
registra un aumento
notevole proprio della periferia esterna al Gra: l’area grazie
all’arrivo di
residenti da fuori Comune ha avuto un saldo migratorio che
corrisponde al
+13,2‰. Più in generale, possiamo notare come la crescita di
Roma sia legata a
partire dagli ottanta ai fenomeni migratori.
Se tra il 1971 e il
1981 le
immigrazioni pesavano solo per il 5% sulla crescita demografica
(il grosso era
legato al rapporto tra nascite e decessi), a partire dal
censimento del 2001 le
migrazioni (sia di stranieri, ormai superiori alle 350.000
presenze, sia di
italiani) pesano per il 100% sul totale della crescita della
popolazione della
città.
Roberto
Impicciatore
dell’Università di Bologna ha ricostruito i flussi studenteschi.
“Tra il 2003 e
il 2016, ben 300.000 studenti meridionali si sono iscritti in un
ateneo del
Centro o del Nord e sei su 10 non sono tornati nella regione di
provenienza, ma
hanno per due terzi continuato a vivere in quella di laurea”,
spiega l’autore.
“La maggior parte di coloro che si iscrive fuori dalla regione
di residenza è
composta da siciliani (69.400) campani (68.900) e pugliesi
(95.600) e con
maggiore propensione tra chi ha conseguito voti più alti alla
maturità: le
regioni che hanno attratto di più sono state Lazio (9.800
studenti all’anno),
Emilia-Romagna (9.200) e Lombardia (9.000)”.
Esistono molti
legami tra mobilità
studentesca e migrazioni interne: le regioni dove si dirigono
gli studenti sono
anche quelle dove si dirigono i flussi di lavoratori, ma ci sono
anche
eccezioni, come il Veneto, che attira immigrati dal resto
dell’Italia ma da
dove partono più studenti di quanti ne entrano (tra il 2009 e il
2015 il Veneto
ha avuto in media un saldo migratorio studentesco che
corrisponde a – 1.616
studenti l’anno).
Francesco Carchedi
(Università Sapienza di
Roma) ha ricostruito la mobilità dei braccianti stranieri
nell’Italia
settentrionale impegnati nelle attività agricole, un fenomeno
che erroneamente
si pensa limitato al solo Mezzogiorno. Concentrandosi su due
aree (la bassa
mantovana e il Piemonte), l’autore descrive i diversi sistemi di
mobilità sul
territorio dei lavoratori, che si spostano periodicamente e a
volte anche
giornalmente alla ricerca di opportunità occupazionali.
Roberta Zanini (Università di Torino) si
concentra
sull’area alpina, dove negli ultimi anni si sono susseguiti
fenomeni di
spopolamento e di ripopolamento, ad opera di cittadini stranieri
e non solo. Il
dinamismo del settore turistico, le opportunità dell’industria
estrattiva e la 'riscoperta' della
montagna anche dal
punto di vista agricolo e dell’allevamento hanno attirato
diversi segmenti di
popolazione.
Paola Corti (Università di Torino)
ricostruisce le
origini e lo sviluppo della musealizzazione legata alle
migrazioni interne,
partendo dal caso dell’ecomuseo
del litorale romano.
Chiude il volume un saggio sulle fonti
europee per le
statistiche demografiche Michel Poulaine, Università cattolica
di Louvain e
Anne Herm, Estonian Institute for Population Studies).
Roma, 24 dicembre
2016
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