Tra i 3.600 istituti falcidiati dalle riforme e dal dimensionamento degli ultimi anni, vi sono ben 236 realtà scolastiche cancellate nelle aree più isolate e impervie del Paese. Nelle zone montane del Molise ne sono state fatte sparire il 37%: quattro su dieci. Nel Lazio il 25%, in Calabria e Campania il 24%. In Toscana sono state chiuse sei scuole, che corrispondono a 46 cattedre. Nelle isole minori i tagli sono stati meno vistosi, ma si sta andando verso le classi “pollaio”. Con utenti e insegnanti costretti a raggiungere le sedi rimaste in vita attraverso viaggi lunghi e al limite del sopportabile. Per Tar e Consulta bisogna riparare il danno, però sembra che nessuno voglia tornare indietro.
Da domani le famiglie avranno la possibilità di potersi
registrare nella pagina web e di prendere confidenza con il sito internet del Miur creato ad hoc; da giovedì
15 gennaio e per i 30 giorni successivi sarà possibile indicare l’istituto
prescelto per il prossimo anno scolastico. Ma i titoli di studio rilasciati
dalle scuole potrebbero essere messi in discussione dalla giustizia
amministrativa. Negli ultimi anni le cancellazioni e gli accorpamenti degli istituti
(derivanti delle Leggi 244/2007, 133/2008, 111/11 e 135/12) hanno introdotto
parametri minimi di iscritti spiccatamente elevati: con il risultato che le 12mila sedi
scolastiche italiane si sono ridotte alle attuali 8.400, con effetti negativi drastici sulla
qualità dell’offerta formativa.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): ora non veniteci a
dire che le lezioni on line possono sopperire quelle reali. La realtà è che vi
sono tutti i motivi formativi e legislativi per ridare vita e quelle scuole. Se l’Anief diventerà rappresentativo con il rinnovo
delle Rsu d’istituto, in programma a marzo, ci batteremo con tutte le nostre
forze perché ciò avvenga.
“Non abbiamo
alcun preconcetto sulle nuove tecnologie applicate alla didattica, ma
l’attività scolastica si fa in classe: il valore aggiunto alla formazione che
può dare un insegnante in carne e ossa, il gruppo e l’interazione con i
compagni, è imparagonabile rispetto a quello prodotto via web o attraverso lezioni
virtuali. Se il Governo vuole davvero rilanciare la scuola pubblica, si impegni
seriamente a ridare vita alle 3.600 scuole falcidiate dalle riforme e dal
cosiddetto dimensionamento. Ad iniziare dagli istituti collocati in montagna e
nelle piccole isole, dove la sparizione di tante scuole autonome ha prodotto
danni irreparabili”. A dichiararlo è Marcello Pacifico, presidente Anief e
segretario organizzativo Confedir, dopo aver appreso che a pagare il prezzo più
salato per la cancellazione e gli accorpamenti degli istituti (derivanti delle
Leggi 244/2007, 133/2008, 111/11 e 135/12), a seguito dei nuovi parametri
minimi di iscritti più elevati rispetto al passato, sono state proprio le
scuole collocate nelle aree più isolate e impervie del Paese. Con studenti e
personale costretti a raggiungere quelle rimaste in vita attraverso viaggi
lunghi e non di rado al limite del sopportabile.
“Ci sono 900 mila studenti nelle millequattrocento scuole
di montagna e delle piccole isole d'Italia. Non è storia da poco – scrive La
Repubblica -. Negli ultimi tre anni
gli studenti fuori zona, dalla prima elementare alla terza media, sono rimasti
invariati, ma gli istituti sono stati falcidiati: 236 scuole montane-isolane,
in prevalenza montane, non ci sono più. Il 17 per cento del totale in tre anni.
È un fenomeno amministrativo parallelo a quello che è successo con gli
accorpamenti degli istituti in pianura, da 12.000 a 8.500, ma l'operazione
soppressione sulle Dolomiti e sui picchi dell'Abruzzo sta regalando alle
famiglie disagi notevoli, viaggi chilometrici”.
Esistono delle regioni
italiane dove le scuole montane scomparse sono addirittura una su tre o su
quattro. “Nel Molise gli istituti sopra
gli ottocento metri d'altezza chiusi sono stati il 37%: quattro ogni dieci. Nel
Lazio il 25%, in Calabria e Campania il 24%. In Toscana sono state chiuse sei
scuole, soppresse 46 cattedre”. Sulla carta il prezzo dei tagli è stato
meno salato per le piccole isole, anche se poi anche in questo caso i danni
sono stati enormi. “Nelle isole minori si
è tolto il 5%. In questo tipo di realtà le pluriclassi -
classi con bambini di diverse età
- sono scese dell'8,7 per cento,
ma sono cresciute le classi ordinarie (+1,16%), quelle con coetanei all'interno”. Anche questa via,
insomma, è un modo per incentivare le classi pollaio.
Per i tanti
alunni rimasti senza scuola, a volte anche nel raggio di decine e decine di
chilometri, un’ancora di salvataggio sembrerebbe giungere dall'Indire, l'Istituto
di innovazione e ricerca del Miur, che “nel
corso del 2014 ha organizzato "Piccole scuole crescono", un network
di istituti che operano nei territori di montagna e nelle isole minori. Una
rete aperta a tutti i presidi che per superare l'isolamento vogliono introdurre
formule didattiche nuove. Uno dei problemi principali, in questi casi, è la
difficoltà di assegnazione dell'organico e l'elevato turnover dei docenti:
durano poco, in montagna, e la discontinuità dell'insegnamento rallenta
l'apprendimento degli alunni”.
Il risultato
pratico di questo progetto è che “nelle
rete toscana, undici scuole, Indire ha previsto due modelli, esportabili:
"didattica condivisa" e "ambiente di apprendimento
allargato". La didattica condivisa prevede l'uso quotidiano della
videoconferenza tra due o più classi appartenenti a istituzioni scolastiche
diverse. Nelle piccole scuole la lezione condivisa favorisce lo scambio di esperienze
e garantisce l'insegnamento di tutte le discipline. Le classi lontane spesso
sono "classi capovolte", con gli studenti che imparano da soli, a
casa, la teoria, poi la sperimentano in classe. Con l'ambiente di apprendimento
allargato una o più classi lavorano invece a un progetto disciplinare comune e
organizzano incontri periodici tra docenti, studenti ed esperti che possono
fare uso di videoconferenze o di altri setting tecnologici. In questo caso la
didattica a distanza diventa una metodologia complementare all'insegnamento
tradizionale”.
“Il problema –
ribatte il presidente Anief – è che quando la scuola è lontana o difficile da
raggiungere, un progetto didattico di questo genere, incentrato sull’esperienza
telematica, rischia di diventare quello di gran lunga prevalente. E pensare che
ciò possa avvenire non per una scelta pedagogico-formativa, ma solo per
esigenze di risparmio per le casse dello Stato diventa davvero inaccettabile”.
“Per questo
chiediamo al Governo di cancellare la norma contenuta nell’articolo 19 della Legge Tremonti-Gelmini
111/2011, che ha fissato l'obbligo di
fusione degli istituti comprensivi delle scuole dell'infanzia, elementari e
medie con meno di mille alunni, ridotti a 500 proprio per le istituzioni site
nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate
da specificità linguistiche: per questi ultimi i parametri non possono essere
così rigidi, perché ci sono realtà territoriali e scolastiche particolari che
vanno per forza di cose tutelate. Ricordiamo che sopprimere una scuola, che è
un servizio pubblico, senza che vi siano alternative ragionevoli significa far
arretrare il Paese anziché evolverlo”.
Anief, tra
l’altro, rammenta che il mancato ripristino delle sedi scolastiche autonome
illegittimamente tagliate o accorpate - messo a turno in discussione da
associazioni, sindacati, studenti, famiglie e personale della scuola – è stato
bocciato pure dalla Corte
Costituzionale, attraverso la sentenza 147 del 2012, che ha ritenuto
"costituzionalmente illegittimo" quell'articolo 19, comma 4, del
decreto legge 98 del 2011, poi legge 111/2011, proprio nella parte che fissava
l'obbligo di accorpamento in istituti comprensivi e che ha prodotto la
cancellazione di 2mila scuole autonome. Con altrettanti dirigenti scolastici e
Dsga, oltre che tantissimi docenti e Ata, che hanno perso illegittimamente il
posto. E il conseguente influsso negativo sulla didattica, per l’aumento
ulteriore del numero di alunni per classe.
Dello stesso
parere si è detto il Consiglio di
Stato, che con la sentenza n. 2032/2012, ha chiesto al Miur decreti ad hoc per
motivare il 66,5% dei tagli delle scuole autonome avvenuto al Sud e nelle Isole, esattamente dove
è più alto il tasso di abbandono dei banchi (il 35% degli
studenti non arriva al diploma non arriva alla maturità) e dove
quindi servirebbe invece il potenziamento di istituti e organici. Ma a dispetto
delle decisioni dei giudici, nell’ultimo biennio abbiamo assistito ad un
abbattimento notevole di plessi e scuole autonome: solo nel 2012 sono stati
cancellati in maniera illegittima 1.567 circoli didattici, istituti comprensivi
e medie.
Il presidente
Anief e segretario organizzativo Confedir, Marcello Pacifico, aveva denunciato
l’illegittimità di questo processo: nel settembre 2012 e nel gennaio
2013, scrivendo anche di suo pugno ai Governatori. Successivamente,
nell’ottobre 2013, il sindacalista ha chiesto modifiche al decreto legge sulla
scuola. Ma anche questa richiesta non ha avuto effetti, costringendo così il
sindacato – in difesa degli interessi di famiglie e personale docente e Ata – a
rivolgersi ai tribunali.
Gli stessi
tribunali, ad iniziare da quello della Sardegna, lo scorso anno scolastico
hanno dato ragione ai ricorrenti, proprio in assenza di risposte coerenti e
legittime dei Governatori: il Tar dell’isola, a proposito dei ricorsi presentati
dai docenti che hanno perso posto proprio per effetto delle ultime disposizioni
di chiusura delle sedi scolastiche sarde, ha infatti annullato il dimensionamento di dieci scuole e gli atti conseguenti. Ripristinando in tal modo la situazione precedente,
tanto è vero che sono mutati anche i decreti di assegnazione del personale e i codici meccanografici delle scuole. E costringendo l’Ufficio Scolastico
Regionale sardo ha disporre
l’annullamento “in corso d’anno, con effetto immediato”, della mobilità coatta
del personale perdente posto a seguito del dimensionamento attuato nel 2012/13.
“Ma sulla cancellazione delle autonomie scolastiche –
continua Pacifico - pesa come un macigno il mancato accordo tra Stato e Regioni
sulla formulazione di nuovi parametri da adottare per il mantenimento in vita
degli istituti scolastici, reputato
indispensabile dalla Legge 128 del 2013 voluta dall’ex ministro Carrozza.
Siccome quell’accordo non è mai arrivato, Anief ribadisce che tornano
automaticamente valide le norme del D.P.R. 233/98, con le scuole normali
costituite con un numero che va dai 500 ai 900 alunni, e le scuole poste in
montagna e nelle piccole isole con una quantità minima di 300 alunni”.
“Per questi
motivi, oltre che per il disagio prodotto a tanti alunni, riteniamo che tante scuole autonome soppresse debbano
tornare in vita. Ad iniziare da quelle collocate in montagna e nelle piccole
isole. Qualora l’Anief diventasse rappresentativo, a seguito del rinnovo delle
Rsu d’istituto del prossimo mese di marzo, si impegnerà su questo fronte: per rivedere
i parametri di razionalizzazione degli istituti e degli organici del personale
scolastico, che in sei anni ha perso qualcosa come 150mila cattedre e 50mila
posti tra amministrativi, tecnici e ausiliari. Oltre che i 3.600 presidi e Dsga
scomparsi assieme alle scuole autonome: a tal proposito, va ricordato, che oggi
un dirigente scolastico – conclude Pacifico - gestisce la propria scuola, più,
in media, altri 4 plessi. Tra l'altro spesso posizionati a decine di chilometri
l'uno dall'altro”.
Al fine di
salvaguardare la titolarità di tutto il personale perdente posto, ma anche i
diritti degli alunni e delle rispettive famiglie, Anief continua a tenere
aperta la possibilità di ricorrere: basta scrivere a dimensionamento@anief.net.
Per approfondimenti:
25 gennaio 2015 Ufficio Stampa Anief
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