A sostenerlo è il sindacato Anief, ma anche un’autorevole ricerca condotta: la nostra istruzione pubblica stagna in fondo alle classifiche internazionali perché i docenti vengono poco e perché hanno classi sovraffollate, a volte anche ‘pollaio’. Lo stesso motivo per il quale la dispersione scolastica e il numero di ragazzi che non studiano e non lavorano sono al top.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir-Cisal):
occorre incentivare il personale garantendogli uno stipendio dignitoso,
iniziando a riportarlo almeno al costo della vita, e metterlo nelle condizioni
di lavorare meglio. Riformando i cicli, con la scuola anticipata di un anno ed
estendendo a 18 anni l’obbligo formativo, saremmo certi del risultato.
Passano gli anni, non si contano più gli annunci sul rilancio
dell’istruzione pubblica, ma la nostra Penisola per quanto riguarda le
competenze degli alunni, rimane in fondo alle classifiche internazionali: oggi
l’Ocse ha confermato che l'Italia è il Paese dell’area “con la maggior
percentuale di giovani in età lavorativa (16-29 anni) e adulti (30-54) con
scarse competenze di lettura, rispettivamente il 19,7% e il 26,36%”. L'Italia
detiene, inoltre, “la percentuale più elevata di persone con scarse abilità in
matematica tra gli adulti, il 29,76%, e la seconda tra i giovani in età
lavorativa, il 25,91%, dietro agli Usa (29,01%)”.
Come se non bastasse, anche il numero di giovani che lascia la scuola
avendo solo conseguito la licenza media rimane altissimo: l’Italia detiene il
numero più alto di under 25 che hanno abbandonato la scuola senza ver
conseguito il diploma di maturità e senza iscriversi ad altri generi di corsi:
siamo fermi al 17,75%, dietro la Spagna con il 23,21%. Con l'abbandono
scolastico che “ha un impatto significativo rilevante sul livello di
competenze: se si considera per esempio la matematica, la percentuale di persone
con competenze insufficienti è del 58,5% tra chi non ha terminato le superiori,
e scende al 27,7% per chi ha ottenuto un diploma”.
Ma le brutte notizie non sono finite. Perché quello che una volta si
chiamava il Belpaese, oggi deve fare i conti, riferisce sempre l’Ocse, con una
percentuale record di giovani 'Neet', non occupati né iscritti a scuola o in
apprendistato: rappresentano il 26,09% degli under 30, quarto dato più elevato
tra i Paesi dell’area. Mentre, prima che prendesse il via la crisi economica,
nel 2008, erano il 19,15%, quasi 7 punti in meno.
Il sindacato reputa questi dati doppiamente allarmanti. Prima di tutto
perché rappresentano un dato oggettivo di quanto sia decaduto il nostro sistema
d’istruzione a seguito delle politiche dei tagli ad oltranza imposti negli
ultimi setto-otto anni, sia rispetto al numero di scuole, sia al numero di ore
di lezioni settimanali, sia in riferimento alla cancellazione di oltre 200mila
posti tra personale docente e Ata. In secondo luogo, l’allarme si acuisce dal
momento che la riforma su cui Governo e maggioranza parlamentare stanno
puntando non condurrà ad alcun cambio di marcia.
La via per migliorare i risultati scolastici e ridurre gli abbandoni dei
banchi non ci sono ricette miracolose. Ma dei provvedimenti di buon senso:
oltre che riportare gli organici a livelli delle riforme pre-Gelmini, il nostro
Esecutivo farebbe bene a leggersi i risultati
di una autorevole ricerca scientifica di Peter Dolton, docente di Economia
presso l'Università del Sussex e
ricercatore presso la London School of Economics, Oscar Marcenaro-Gutiérrez,
professore dell'università di Malaga, e Adam Still esperto di Gems Education
solutions: in una recente ricerca, i tre esperti di formazione sono giunti alla
conclusione che occorre pagare meglio i docenti e contemporaneamente ridurre il
numero di allievi per classe.
“Dolton e i suoi compagni d'avventura – ha scritto‘La Repubblica’ - hanno scomodato la statistica per incrociare i
dati della spesa per l'istruzione di 30 paesi Ocse con le performance nel Pisa
dei rispettivi quindicenni”. Ora, “la scheda
di approfondimento stilata per l'Italia suggerisce di intraprendere due strade
per aumentare l'efficienza del nostro sistema educativo: aumentare del 10,5 per
cento le retribuzioni degli insegnanti e ridurre l'affollamento delle classi di
un quarto. Finora, gli "esperti" italiani ci hanno sempre detto che
abbiamo troppi insegnanti e che le nostre classi hanno pochi alunni. E i
governi si sono affannati a tagliare cattedre e stipendi di maestri e prof e
a riempire, anche oltre le norme attuali, le classi di alunni. Ma, stando alla
prima statistica ufficiale che prende in esame l'intero mondo complesso della
scuola, è tutto il contrario. Il nostro sistema pubblico di istruzione fa
fatica a produrre risultati apprezzabili perché i docenti sono pagati poco e
perché le classi sono sovraffollate di alunni. Motivo per il quale la
dispersione scolastica, specialmente in alcuni ambiti, è alle stelle”.
“Quella ricerca – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief, segretario
organizzativo Confedir e neo eletto segretario Confederale Cisal – ha confermato
quanto sosteniamo da tempo: se l’Italia vuole farla finita di perdere per
strada 2 milioni e 900mila giovani delle superiori, come è accaduto negli ultimi
quindici anni, occorre incentivare i lavoratori della scuola, docenti e Ata, in
due modi: dare loro stipendi dignitosi, iniziando a riportarli almeno al costo
della vita, e metterli nelle condizioni di lavorare meglio, riducendo il numero
di alunni cui devono indirizzare il loro insegnamento”.
Il sindacato ricorda, ancora, che il tempo-scuola con la Legge 133/08 si è ridotto più
di un sesto: oggi l’Italia detiene il triste primato negativo di 4.455 ore
studio complessive nell’istruzione primaria, rispetto alla media di 4.717
dell’area Ocse: non solo, alle ex elementari è subentrato il maestro
“prevalente” che svolge 22 ore, con il resto dell’orario assegnato anche ad
altri 4-5 colleghi. E il docente d’inglese della primaria non è più
specializzato. Così si è arrivati a produrre l’attuale modello formativo, di
qualità più bassa, perché l’offerta formativa non ha più una struttura propria.
Lo stesso vale per la scuola superiore di primo grado, visto che i nostri
ragazzi passano sui banchi 2.970 ore, contro le 3.034 dei Paesi Ocse.
“Per quanto riguarda gli abbandoni scolastici e il numero di Neet da record
– continua Pacifico –, riteniamo plausibile anticipare il percorso formativo di
un anno e, nel contempo, estendere l’obbligo formativo a 18 anni, come saggiamente
tentò di fare nel 1999 l’allora ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer. Se a questo aggiungiamo
l’utilizzo di fondi ulteriori, nazionali e europei, finalizzati a migliorare
l’orientamento scolastico, e la maggiorazione di quote di organico di personale
da destinare proprio nelle aree più a rischio dispersione, assieme ad una vera
riforma dell’alternanza scuola-lavoro, possiamo seriamente pensare di
avvicinare quel 10 per cento di dispersione indicato dall’Ue all’inizio del
nuovo millennio come soglia massima – conclude il sindacalista - per un paese
che si reputa moderno e avanzato”.
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