Negli ultimi anni, ai docenti italiani sono stati concessi aumenti più bassi del contratti privati. E andrà sempre peggio, perché alle nuove generazioni dei formatori si prospetta di andare in pensione con assegni vicini all’attuale sociale dopo 43 anni di lavoro. La riforma Renzi-Giannini sulla Buona Scuola ignora tutto questo. Perché oggi, a differenza delle promesse, ha lasciato viva la ‘supplentite’. E gli aumenti legati al merito professionale sono ridicoli e riservati al 10% dei docenti: appena 200 milioni di euro, a fronte di 6 miliardi di arretrati che lo Stato dovrebbe dare al personale per adeguare gli stipendi non all’Unione Europea, ma all'inflazione certificata dall'Istat. Sono questi i veri motivi del declino della professione.
Marcello Pacifico (presidente Anief): è ora di cambiare,
per non lasciare sempre l'ultima parola ai tribunali. Lo Stato continua a
sfruttare i docenti, sempre più scesi nella considerazione sociale. Anief ha
già vinto i ricorsi per la stabilizzazione, lo sblocco degli scatti stipendiati
e il pagamento delle mensilità estive per il personale precario, il riconoscimento
del servizio per intero pre-ruolo nella ricostruzione di carriera e la
restituzione del Tfr. E tutto per colpa di leggi inique che il Governo di turno
lascia in vita per risparmiare sulla loro pelle.
Domani si celebra la giornata mondiale degli
insegnanti, istituita dall'Unesco, nata per attuare una riflessione sul ruolo dei professionisti dalla
formazione: quest’anno lo slogan dell’evento, sempre finalizzato ad apprezzare,
valutare e migliorare il lavoro degli educatori, sarà Empowering
teachers, building sustainable societies. È la stessa Unesco a spiegarne il senso: “gli insegnanti non sono solo un
mezzo per attuare obiettivi educativi; essi sono la chiave per la sostenibilità
e capacità nazionali nell'attuazione della formazione e creazione di società
basate sulla conoscenza, i valori e l'etica. Tuttavia, essi continuano ad
affrontare sfide legate alla carenza di personale, scarsa formazione e uno
stato sociale basso”, sottolinea l’Organizzazione delle Nazioni Unite per
l'Educazione, la Scienza e la Cultura.
Purtroppo,
il monito dell’Unesco non riguarda solo paesi e scuole del terzo mondo. Anche
in Italia quella dell’insegnante risulta tra le professioni più in crisi, tra le
più usuranti e con scarsa considerazione sociale. È lunga la lista dei motivi del declino della professione. Perché tanti nostri docenti continuano a rimanere precari,
senza prospettive di carriera e pagati con stipendi più bassi dell'inflazione. Addirittura
l'indennità di vacanza contrattuale, il meccanismo creato per mantenere le
buste paga almeno al livello dell’inflazione, dal 2008 è stata bloccata: e con l’ultima
Legge di Stabilità, la Legge
190/14, il blocco è stato reiterato
sino al 2018. E ciò malgrado la sentenza
n. 178 della Consulta sull’inammissibilità del blocco stipendiale del pubblico
impiego abbia chiarito che non si può. Ecco
perché Anief ha fatto e continua a presentare ricorsi in tribunale: visto che
lo Stato è sordo, è l’unico modo per recuperare, in media, 8.500
euro sottratti ad ogni docente.
La
realtà è che ai neo immessi in ruolo vincitori di concorso, si prospetta un
decennio di stipendi fermi a meno di 1.300 euro. Lo stesso merito è una chimera
per pochi. Perché gli aumenti della Buona Scuola, legati al merito
professionale, sono ridicoli: appena 200 milioni di euro, a fronte di 9
miliardi di arretrati che lo Stato dovrebbe ridare al personale per
adeguare gli stipendi non all’Unione Europea, ma all'inflazione certificata
dall'Istat. Anche per gli altri insegnanti, le
cose non vanno meglio: un insegnante oggi
percepisce lo stipendio più basso di tutta la
nostra pubblica amministrazione. E il contratto in arrivo è un bluff: porterà aumenti attesi da sei anni solo
ad uno docente su dieci. Peraltro, a discrezione del dirigente scolastico.
Così, oggi per un insegnante della scuola italiana non ci sono prospettive di
una vera e propria carriera: per effetto della Legge 150/09, voluta dall’ex
ministro Renato Brunetta, gli scatti saranno cancellati nel contratto. Oggi chi
entra a lavorare nella scuola, avrà il 35% dell'attuale stipendio. In poche
parole lavorerà 43 anni per avere la pensione sociale.
Per non parlare degli stipendi conferiti
nell’Unione Europea, in media più alti se non il doppio. Come se non bastasse,
in Germania si può andare in pensione dopo 24 anni di servizio. Mentre da noi
si sta valutando se far lasciare il servizio alle soglie dei 65 anni, ma in
cambio del 10% dell’assegno di quiescenza. Così, alla lunga, considerando
l’aspettativa di vita media, lo Stato ci guadagnerà pure.
La
riforma, tanto acclamata dal Governo Renzi, doveva migliorare le cose. Ma non
ha cambiato nulla. Perché in Italia chi è stato formato per insegnare dopo il
2011 rimane confinato nelle graduatorie d’Istituto ed è condannato al
precariato, mentre la Buona Scuola si accinge, con
la fase C del piano straordinario di assunzioni, ad immettere in ruolo una
marea di docenti sull’organico potenziato per coprire materie che non
conoscono.
Secondo Marcello
Pacifico, presidente Anief, “mai come oggi è ora di cambiare, per non lasciare
sempre l'ultima parola ai tribunali. Anief ha già vinto i ricorsi per la
stabilizzazione, lo sblocco degli scatti stipendiati e il pagamento delle
mensilità estive per il personale precario, il riconoscimento del servizio per
intero pre-ruolo nella ricostruzione di carriera e la restituzione del Tfr. La
riforma Renzi-Giannini sulla Buona Scuola ignora tutto questo. Per un anno e
mezzo si sono fatte tante promesse, ma di fatti concreti, con ripercussioni
positive sugli insegnanti, se ne sono viste poche”.
“Basti pensare –
continua il presidente Anief - alla ‘supplentite’, che il premier aveva detto
di voler stroncare: prima della riforma c’erano 120mila
precari e anche dopo il piano straordinario di assunzione, per far funzionare
la scuola se ne continuano
a chiamare 100mila. E questo per le solite esigenze di risparmio, perché in
questo modo lo Stato risparmi sulle mensilità estive e gli scatti stipendiali.
Esattamente come nel passato. È arrivato il momento di cambiare. Ma stavolta
alle parole devono seguire i fatti. Altrimenti la professione non si risolleva
e la crisi non può che lievitare”.
Per approfondimenti:
Emiliano
padrino dei precari: "la buona scuola fa soffrire per voi affitti e treni
scontati" (La Repubblica del 28 agosto 2015)
Scuola,
il dilemma dei professori. Hanno dieci giorni per decidere: andare via da casa
oppure rinunciare all’assunzione. “Aspetterò un altro anno. E farò ricorso”
(Corriere della Sera del 3 settembre 2015)
L’algoritmo-lotteria
che sceglie i prof (Corriere della Sera del 4 settembre 2015)
Fase
C, tra i precari cresce l’agitazione: c’è chi rischia di non essere assunto
(Il Secolo XIX dell’11 settembre 2015)
4 ottobre 2015
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