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mercoledì 27 giugno 2018

Randstad: 42% professionisti HR chiede imprese più collaborative, ma 6 su 10 ancora legate a modelli organizzativi tradizionali

IL 42% DEI PROFESSIONISTI HR VORREBBE IMPRESE PIU' COLLABORATIVE

MA 6 AZIENDE SU 10 ANCORA LEGATE A MODELLI ORGANIZZATIVI TRADIZIONALI. 

Oltre quattro imprese su dieci avvertono la necessità di cambiare il proprio modello organizzativo, ma solo il 4% ha adottato un modello circolare e partecipato, che prevede meno gerarchie rigide e differenze di ruolo e una maggiore propensione all'autonomia e alla responsabilizzazione dei dipendenti, e solo il 6% si sta muovendo in questa direzione. 

Otto aziende su dieci hanno carenza di competenze e chiedono nuove capacità ai manager, come la capacità di motivare e ispirare gli altri, presente solo in uno su quattro. 

Meno di un Direttore HR su due è soddisfatto del proprio ruolo in azienda; il 68% si aspetta la responsabilità di promuovere i processi di cambiamento organizzativo, ma solo il 33% ha un effettivo ruolo decisionale. Cruciale il tema del coinvolgimento nelle decisioni strategiche e il focus sul business.

I risultati del Randstad HR Trends and Salary Report 2018. 

 

Milano, 27 giugno 2018 – L'80% delle imprese italiane deve fare i conti con una carenza di competenze al proprio interno e a questo problema sono legate le principali sfide indicate dai professionisti HR: per il 2018 puntano soprattutto a far crescere le performance e la produttività (indicata dal 57% dei professionisti HR), trattenere i dipendenti più qualificati (55%), attirare i migliori talenti sul mercato per le successive fasi di crescita (54%). Per affrontare queste sfide oltre quattro imprese italiane su dieci (44%) avvertono la necessità di un'evoluzione della propria struttura organizzativa e il 42% guarda con interesse a un modello di organizzazione partecipata e circolare, che comporta la rinuncia a gerarchie rigide in favore di un progressivo ridimensionamento delle differenze di ruolo e una maggiore propensione al confronto orizzontale, all'autonomia e alla responsabilizzazione dei dipendenti. Sono già otto su dieci le realtà che conoscono o sono interessate a utilizzare questo modello in futuro, mentre in quasi un'impresa su due sono nati processi partecipativi circolari spontanei e strutturati (il 45%), di cui circa la metà ha messo a disposizione spazi fisici e ore dedicate a queste iniziative. Un approccio che promuove una responsabilità diffusa e un nuovo modo di valutare l'errore sul posto di lavoro, che ben il 44% delle aziende non vede più come un danno ma come una fonte di apprendimento e miglioramento.

Ma l'applicazione concreta di una struttura organizzativa circolare e partecipata stenta ancora a diffondersi: è presente in appena il 4% delle aziende. Soltanto quattro realtà su dieci, inoltre, stanno mettendo in campo iniziative per modificare il proprio modello organizzativo e solo il 6% si sta muovendo verso un modello circolare. La responsabilità diffusa necessita, poi, di un management con competenze diverse, in grado di ispirare fiducia e motivare i dipendenti, e infatti la competenza motivazionale è quella più richiesta ai leader (indicata dal 62% degli HR professionals), ma solo un manager su quattro possiede questa abilità e il sentimento prevalente fra quadri e dipendenti è la paura (13%).

Sono alcuni dei risultati dell'HR Trends and Salary Report 2018, realizzato da Randstad Professionals, la divisione specializzata del gruppo Randstad, secondo operatore mondiale nei servizi per le risorse umane, che si occupa della ricerca e selezione di middle, senior e top management, in collaborazione con l'Alta Scuola di psicologia Agostino Gemelli (ASAG) dell'Università Cattolica di Milano, sulla base di interviste – condotte da Praxidia, società specializzata in ricerche di mercato e consulenza nella gestione della customer experience - eseguite tra febbraio e aprile 2018 a 283 professionisti e dirigenti dei dipartimenti HR di aziende italiane di diversi settori. La ricerca ha analizzato le tendenze e gli sviluppi del settore delle Risorse Umane e dei processi di selezione in Italia.

"Dall'indagine emerge un forte bisogno di cambiamento da parte delle imprese, che però nella maggior parte dei casi restano ancora legate a modelli organizzativi tradizionali – commenta Marco Ceresa, Amministratore delegato di Randstad Italia–. L'organizzazione partecipata e circolare, infatti, si presenta come un trend solo potenziale, non ancora largamente applicato, ma che inizia a essere preso in considerazione. Passare da un modello gerarchico a una struttura circolare è una transizione obbligata per le aziende che vogliono prosperare, perché una forza lavoro deresponsabilizzata, priva di autonomia, che esegue direttive calate dall'alto e non condivise, ha un impatto fortemente negativo sulle performance e sulla capacità di innovare delle imprese".  

"La valorizzazione dei processi circolari e partecipati fra i professionisti è un aspetto ancora sottostimato in Italia  - afferma Caterina Gozzoli, direttore dell'Alta Scuola in Psicologia A. Gemelli dell'Università Cattolica -. Dalla ricerca, infatti, emerge che nella quasi totalità delle aziende mancano tempi e luoghi in cui far circolare informazioni, idee e ipotesi progettuali, ma soprattutto in cui condividere il senso degli oggetti di lavoro. Allo stesso tempo è evidente la carenza e la desiderabilità di un'organizzazione più circolare, i cui manager non abbiano paura dei processi partecipativi e del conflitto e si fidino dei collaboratori, che a loro volta possano portare idee e contributi conoscitivi. Ancora emerge una specifica cultura aziendale che stenta a considerare l'errore parte inevitabile del processo di crescita professionale e organizzativo". 

Struttura organizzativa, verso un modello circolare – Il modello organizzativo più diffuso nelle aziende italiane è quello divisionale (adottato dal 34% del campione), nel quale la struttura aziendale è divisa in base alle linee dei vari prodotti o alle zone geografiche di competenze delle varie divisioni aziendali o ancora ai clienti a cui sono destinati prodotti e servizi. Seguono il modello gerarchico (24%), tipico delle imprese di piccole dimensioni in cui la maggior parte delle funzioni è accentrata nelle mani dell'imprenditore, il modello funzionale (22%), nel quale ogni unità organizzativa svolge una particolare funzione ed emana direttive di propria competenza alle altre unità dell'impresa, e il modello a matrice (16%), una struttura elastica che integra i vantaggi della divisione per funzioni e quelli della divisione per prodotti, progetti o aree geografiche. Chiude, infine, il modello circolare, adottato appena dal 4% del campione analizzato, prevalentemente nei settori manifatturiero/industria (40%), computer/servizi software/internet (30%), trasporti e logistica (10%) e marketing e pubblicità (10%).

Il 44% dei professionisti HR intervistati ritiene necessario un cambiamento organizzativo dell'impresa in cui lavora, con lo stile di leadership che spicca fra le aree di intervento prioritarie (indicato dal 65% del campione), seguito dalla modalità di lavoro (43%), l'approccio al mercato (29%) e le strategie di accompagnamento dei singoli lavoratori (27%). Una quota di poco inferiore, il 40%, si sta muovendo verso un nuovo modello organizzativo, con una propensione più marcata verso i modelli funzionale (13%) e a matrice (10%), seguiti dai modelli divisionale (6%), circolare (6%) e gerarchico (5%).

Il modello circolare attira l'interesse del 42% dei professionisti HR, che ritiene che un'organizzazione partecipata e circolare contribuisca a migliorare efficacia, produttività e competitività aziendali e che se ne dovrebbe valutare l'applicazione nella realtà in cui lavorano. Ma soltanto poco più di uno su quattro ha una conoscenza approfondita dell'argomento, con il 10% che conosce nei dettagli gli aspetti teorici e pratici e il 16% che lo ha sperimentato direttamente sul posto di lavoro, oltre uno su due ne ha soltanto sentito parlare (54%), mentre il 20% non ne sa nulla. E le percentuali scendono ulteriormente se si analizza il grado di applicazione di questa tipologia di organizzazione: è presente soltanto nel 4% delle imprese, il 13% sta lavorando per introdurla, il 27% ha manifestato interesse ma non ha ancora avviato progetti concreti e ben il 56% non ha alcun interesse a procedere in questa direzione.

Nonostante l'esiguo numero di realtà che hanno adottato il modello circolare, nel 45% delle aziende del campione si sono comunque sviluppati singoli processi partecipativi e circolari spontanei e strutturati, che nel 27% dei casi si sono originati spontaneamente, mentre nel restante 18% sono stati attivati dalle Direzioni HR. Processi per i quali sono stati messi a disposizione spazi fisici all'interno (nel 54% dei casi) o all'esterno dell'azienda (2%) oppure sono stati predisposti spazi virtuali all'interno dei sistemi informativi aziendali (21%), mentre nel 45% di queste realtà sono state previste delle ore dedicate allo sviluppo di questi processi. In quasi due imprese su tre (63%) i risultati di queste iniziative sono stati recepiti positivamente.

Cambiare il modello organizzativo in senso partecipato e circolare richiede la presenza di determinate condizioni e caratteristiche all'interno dell'azienda: la prima condizione indicata dai professionisti HR è la fiducia nel capo, nella struttura e nei colleghi (secondo il 45% del campione), seguita dalle presenza di un management con competenze diverse (41%) e dalla propensione a un maggiore investimento emotivo (33%). Quasi uno su tre, inoltre, ritiene che un'organizzazione circolare sia un buon metodo per motivare le risorse interne (31%) e che favorisca autonomia e responsabilità, consentendo a tutti i lavoratori di crescere professionalmente (31%). Tra i fattori più importanti che potrebbero contribuire a costruire un'organizzazione partecipata e circolare, invece, si collocano al primo posto la conoscenza, la condivisione e la collaborazione (34%), seguita dalla fiducia diffusa fra i dipendenti (17%), dalla presenza di una strategia di gestione del cambiamento (8%), dalla flessibilità organizzativa (7%) e dalla fiducia nell'organizzazione (6%).

L'errore sul lavoro, da danno a occasione di apprendimento
- La fiducia fra colleghi, la propensione a una responsabilità diffusa e a una maggiore autonomia dei dipendenti collegate a modelli di organizzazione partecipata e circolare impongono un ripensamento del giudizio sugli errori che si possono fare nello svolgimento delle proprie mansioni in azienda, che da episodio da condannare diventano fonte di miglioramento. Ben il 44% del campione, infatti, considera l'errore un'occasione di apprendimento che mette in evidenza criticità e stimola la ricerca di soluzioni e il 24% accetta che possa capitare, anche se rimane ancora abbastanza alta la percentuale dei professionisti HR che mantengono un'opinione negativa degli errori (33%), con il 14% che lo ritiene un danno per l'azienda, il 10% che pensa che andrebbe sempre evitato e il 9% che lo associa a una grave incompetenza professionale. L'atteggiamento positivo nei confronti degli errori è più presente nelle imprese che adottano un modello organizzativo circolare (80%), seguito dalle aziende con un modello a matrice (78%), divisionale (71%), funzionale (68%) e gerarchico (57%).

Le emozioni in azienda: manager felici, quadri e dipendenti spaventati – Un indizio di quanto stenti ancora a diffondersi il modello organizzativo circolare viene dall'analisi delle emozioni presenti in azienda. La felicità è il sentimento prevalente fra i manager (21%), seguito da rabbia (13%), paura (12%), sorpresa (9%), tristezza (7%) e disgusto (4%). Ma fra i middle manager e i dipendenti domina la paura (13%) e la felicità va di pari passo con la rabbia (entrambe all'11% fra i quadri e al 10% fra i dipendenti), un segnale che nelle strutture organizzative aziendali resistono ancora schemi tradizionali e gerarchici.

La carenza di competenze – Un altro degli aspetti indagati dallo studio è la carenza di competenze, che interessa l'80% delle organizzazioni italiane. Per colmare questa lacuna la maggior parte delle aziende sta attuando programmi di istruzione e formazione (59%), mentre le altre fanno principalmente ricorso a fornitori esterni (19%), aumentano retribuzioni e benefit per attrarre e trattenere i talenti (15%), esternalizzano alcune mansioni aziendali (10%), assumono personale dall'estero (9%), offrono opzioni di lavoro più flessibile ai dipendenti (9%) o assumono più lavoratori part-time (1%). Per oltre un'azienda su tre (36%) la necessità di nuove competenze è anche il primo fattore che spingerà le nuove assunzioni nel 2018, previste dal 79% del campione oggetto dell'indagine, seguito dalla crescita economica del mercato (32%), dalla crescita nazionale o internazionale dell'azienda (27%), dal pensionamento dei dipendenti (19%) e dalla rotazione del personale (19%).

Nonostante gli aumenti di organico e i piani formativi previsti nel corso di quest'anno, tuttavia, resta ancora un disallineamento fra le competenze richieste ai leader e quelle già presenti fra i manager. Le lacune più evidenti riguardano la capacità di motivare e ispirare gli altri, richiesta dal 62% dei professionisti HR ma presente in appena il 25% dei manager, la capacità di delegare (28% vs 12%), la capacità di innovare e favorire la creatività (31% vs 19%), di programmare il futuro (39% vs 33%) e di costruire rapporti di fiducia (36% vs 31%). Positivo, invece, il saldo relativo all'abilità di adattarsi alle nuove esigenze dell'attività (48% contro 66%), alle competenze analitiche e di risoluzione dei problemi (30% contro 55%) e alle capacità di riconoscere il conflitto (10% contro 28%) e di tutelare l'equità organizzativa (7% contro 22%).

Il ruolo del responsabile HR
– Dalla ricerca emerge anche un consistente divario fra le aspettative dei responsabili delle risorse umane riguardo al proprio ruolo e l'effettivo riconoscimento che delle proprie responsabilità in azienda. Oltre due direttori HR su tre (68%), infatti, ritengono che dovrebbero ricevere l'incarico di promuovere e generare concretamente i processi di cambiamento organizzativo, ma soltanto il 33% pensa di avere un effettivo potere decisionale in questo ambito e meno della metà è soddisfatto del suo ruolo in azienda (47%). Per incidere di più sui processi organizzativi, secondo il campione intervistato, è indispensabile che le Direzioni HR siano più coinvolte nelle decisioni strategiche (31%) e più focalizzate sul business (18%).

La ricerca ha anche indagato gli strumenti utilizzati dai dipartimenti HR nelle attività aziendali. In quasi otto realtà su dieci è presente la certificazione di qualità, con il 55% che la considera un utile strumento per migliorare i processi e il 24% che invece pensa che sia solo un atto formale. Presenti in meno di un'impresa su due, invece, la exit interview (42%), le analisi di clima interno (43%) e i percorsi formativi (39%).

Passando dagli strumenti agli aspetti che dovrebbero essere migliorati per incrementare le performance aziendali, si colloca in prima posizione la comunicazione regolare degli obiettivi comuni (indicata dal 67% dei professionisti HR), seguita dall'atteggiamento risolutivo verso le criticità per evitare che insorga frustrazione interna (62%), dalla spinta ad assumersi la responsabilità della decisione finale per non rallentare i processi (56%), dalla semplificazione della burocrazia aziendale (51%) e dalla riduzione e razionalizzazione delle riunione interne (48%).

 

A proposito di Randstad

RANDSTAD N.V. è la multinazionale olandese attiva dal 1960 nella ricerca, selezione, formazione di Risorse Umane e somministrazione di lavoro. Presente in 39 Paesi con 4.858 filiali e 38.331 dipendenti per un fatturato complessivo che ha raggiunto nel 2017 23,3 miliardi di euro - è la seconda agenzia di servizi HR al mondo. Presente dal 1999 in Italia, RANDSTAD conta ad oggi 2000 dipendenti e oltre 300 filiali a livello nazionale. RANDSTAD è la prima Agenzia per il Lavoro ad avere ottenuto in Italia le certificazioni SA8000 (Social Accountability 8000) e GEES (Gender Equality European Standard) in materia di "pari opportunità". 



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