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lunedì 30 marzo 2015

UNIVERSITÀ – Negli atenei è boom di prof a contratto, mentre ricercatori e docenti a tempo pieno rimangono al palo



Invece di provvedere a stabilizzare decine di migliaia di ricercatori e docenti, da anni, se non decenni, impegnati quotidianamente a condurre la didattica e la ricerca nelle nostre università, da Viale Trastevere, quindi, è arrivata l’idea “geniale”: salvare i corsi di laurea a rischio allargando il numero di professori a contratto: si istituzionalizzano così sempre più rapporti annuali a contratto, spesso in cambio di un mero rimborso spese, ad insegnanti esperti e cultori delle varie materie. Superando, nemmeno di poco, l’originario limite legislativo del 5%. Anche la Legge di Stabilità ha dato il suo contributo negativo. Per non parlare della nuova ripartizione del fondo ordinario degli atenei. È la conferma che oggi in Italia chi ha i titoli e la voglia di insegnare e fare ricerca all’università ha le ali tarpate.

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): il continuo ricorso alla contrattazione privatistica per assicurare la costante erogazione dell’attività didattica, sta mettendo a serio rischio l’intera sopravvivenza del servizio nazionale universitario. Il tutto, calpestando la Carta europea dei ricercatori. Non è un caso se vi sono sempre meno iscritti, troppi studenti fuori corso e un numero altissimo di cultori, assegnisti, dottori di ricerca, ricercatori, verso l’estinzione, e quasi-docenti in perenne attesa di fare il “salto” negli organici accademici. Ma contro tutto ciò abbiamo deciso di dire basta: se necessario ricorreremo fino alla Curia europea.

Un altro colpo basso alla qualità dell’insegnamento negli atenei italiani. A darlo è ancora una volta il Miur, che messo alle strette dal rischio di chiusura di centinaia di corsi di laurea, ha pensato bene di varare un decreto ad hoc, appena firmato dal ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini, attraverso cui si prevede che anche i professori a contratto possano rientrare nel calcolo numerico minimo di docenti utile a mantenere in vita un corso universitario.

"A rischio – riporta la stampa nazionale - c'erano centinaia di corsi di laurea, tenuti anche da esperti di fama, studio, professionisti, che avevano un'unica «pecca»: quella di essere assunti con contratto a tempo determinato”. Invece di provvedere a stabilizzare decine di migliaia di ricercatori e docenti, da anni, a volte decenni, impegnati quotidianamente a condurre la didattica e la ricerca nelle nostre università, da Viale Trastevere, quindi, è arrivata l’idea “geniale”: salvare i corsi di laurea a rischio allargando il numero di professori a contratto.

“Oggi il numero minimo di docenti necessari è 9 per i corsi di primo livello e 6 per quelli di secondo. Il decreto non varia questo numero, ma prevede che fino a un terzo di questi posti possa essere assegnato - sia nelle università statali che in quelle non statali - a professori a contratto o a professori straordinari a tempo. Fra i 5 e i 6 docenti sul totale di quelli minimi previsti potranno essere a tempo anche nei corsi di laurea magistrale a ciclo unico di durata, rispettivamente, di 5 o 6 anni. Una piccola variazione che – sottolinea il Corriere della Sera - però salvaguarda gli studenti di tutti quegli atenei che, fino al 2018, non potranno assumere a tempo indeterminato, avvalendosi del turn-over”.

E qui sta il punto: oggi in Italia chi ha i titoli e la voglia di insegnare e fare ricerca all’università ha le ali tarpate. Basta andare a ricordare quanto accaduto con la messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato: invece di realizzare una sintesi delle leggi approvate negli ultimi anni (L. 210/1998, L. 230/2005, D.lgs. 164/2006, L. 1/2009), attraverso il riconoscimento di una nuova fascia della docenza relativa alla categoria dei ricercatori, si è deciso di cancellarne l’esistenza, attraverso la loro messa a esaurimento oppure di precarizzarne il ruolo, con la stipula di soli contratti a tempo determinato.

Quando tutto sembrava far pensare alla soluzione del “caso”, attraverso la Legge n. 1/2010, che avrebbe dovuto bandire 5mila posti per il primo gradino della ricerca, di lì a poco è infatti arrivata la Legge 240/2010: un provvedimento che, di fatto, ha sancito la precarizzazione del personale dell’Università, cancellando la figura del ricercatore a tempo indeterminato dopo la sua messa ad esaurimento, in un momento in cui ancora non erano stati nemmeno assunti tutti gli idonei a posto di associato e ordinario a seguito dell’espletamento dei primi concorsi dopo la riforma.

“La Legge 240 del 2010 – ricorda Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – ha avuto un molteplice valenza negativa, perché approvata anche in un momento di esigenza di forte ricambio del turn over, derivante a sua volta dai provvedimenti limitativi della fascia di età di permanenza in servizio dei professori universitari (70 anni), di risanamento finanziario dei debiti contratti dagli Atenei e di continua riduzione delle risorse erogate agli Atenei dall’Amministrazione centrale dello Stato”.

Per i corsi delle università, privati progressivamente di ricercatori e docenti associati e ordinari, la ciambella di salvataggio non poteva che essere quella di realizzare rapporti annuali a contratto, spesso in cambio di un mero rimborso spese, ad insegnanti esperti e cultori delle varie materie. Superando, nemmeno di poco, l’originario limite legislativo del 5% di questo genere di rapporti. Ora, il Miur istituzionalizza questa pratica. Che anziché l’eccezione diventa la prassi.

“Con il risultato – continua Pacifico - che il continuo ricorso alla contrattazione privatistica per assicurare la costante erogazione dell’attività didattica, sta mettendo a serio rischio l’intera sopravvivenza del servizio nazionale universitario. Il tutto, calpestando la Carta europea dei ricercatori, oltre che la Raccomandazione della Commissione delle Comunità europee n. 251 dell’11 marzo 2005, riguardante la carta europea dei Ricercatori, e il Codice di condotta per l’assunzione dei Ricercatori. Come richiamato, peraltro, dall’articolo 18, chiamata dei professori, e dall’articolo 24, ricercatori a tempo determinato, della stessa legge 240/2010”.

Purtroppo, anche l’attuale Governo ha dato il suo contributo al decadimento delle risorse a favore dell’Università: con la Legge di Stabilità 2015, sono stati introdotti nuovi tagli al fondo di funzionamento ordinario dell’Università pubblica, pari a 98 milioni in tre anni a partire dal 2016. Così come è stata approvata la riduzione di 140 milioni per gli FSRA, di 42 milioni agli enti di ricerca e di 1 milione all’Afam, l’Alta Formazione Artistica e Musicale che invece avrebbe estremo bisogno di un rilancio.

Inoltre, a fine 2014, il titolare del Miur, Stefania Giannini, ha firmato e pubblicato il decreto con il nuovo riparto del Fondo di finanziamento ordinario alle università statali e sul “costo standard” di formazione per studente in corso. Si tratta di un sistema inedito, che punta ad agganciare lo stanziamento delle risorse non più a criteri storici, ma alla qualità e alla tipologia dei servizi offerti agli studenti. Al di là delle rassicurazioni di Viale Trastevere, sarà inevitabile che ad essere penalizzati da questa nuova distribuzione di circa il 20% delle risorse saranno gli atenei (e gli studenti) collocati nei contesti più svantaggiati, ad iniziare da quelli del Sud. Con un ulteriore inevitabile aumento degli abbandoni.

“Il risultato di questo politica – conclude Pacifico - è sotto gli occhi di tutti: “sempre meno iscritti, troppi studenti fuori corso e un numero altissimo di cultori, assegnisti, dottori di ricerca, ricercatori, verso l’estinzione, e sempre più quasi-docenti in perenne attesa di fare il “salto” negli organici accademici. A ciò si aggiunga che in Italia non si investe adeguatamente per l’Università. E nemmeno si fa un orientamento adeguato: l’ultima legge, in merito, introdotta dall’ex ministro Maria Chiara Corrozza, è fallita clamorosamente. A rendere ancora più complicata la situazione è stato anche l’inasprimento delle tasse d’iscrizione, richieste dagli atenei agli studenti fuori corso, aumentate di cifre che vanno dal 25% al 100%”.

Per quanto riguarda la mancata stabilizzazione del personale, però, Anief ha deciso di passare al contrattacco. Tutti i ricercatori e i docenti che hanno svolto attività in seno alle università per oltre tre anni, anche non continuativi, hanno diritto alla stabilizzazione: per i primi, i ricercatori, va infatti ripristinata la figura e prevista la messa in ruolo; per i secondi, coloro hanno fatto didattica, deve essere allo stesso modo prevista una norma che li vada ad inquadrare nella copertura dei corrispettivi insegnamenti di laurea come professore associato. Anief ha deciso di combattere lo stato di “congelamento” perenne, cui sono stati destinati dagli ultimi Governo decine di migliaia di giovani meritevoli: la giovane organizzazione sindacale ricorrerà in tutte le sede, fino alla Corte di Giustizia europea se necessario. Coloro che sono interessati a ricevere ulteriori informazioni possono scrivere a universita@anief.net.

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30 marzo 2015                                                                                       

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