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sabato 13 dicembre 2014

ISTRUZIONE – In Italia la spesa per la scuola è ferma da 15 anni: nessuno ha fatto peggio nell’area Ocse






Uno studio nazionale sui dati del Dipartimento Politiche Sviluppo, riguardanti il periodo 1996-2012 su tutti i cicli scolastici, dalla pre-infanzia alle superiori, confermano che le affermazioni secondo cui «non bisogna mai disinvestire sull’istruzione» sono pura retorica. A pesare in negativo sul mancato sviluppo per gli investimenti a favore dell’istruzione, in particolare, l’entrata in vigore il Patto di stabilità interna (2001) e i tagli draconiani operati tra il 2008 e il 2009 dai ministri dell’Economia Giulio Tremonti e al Miur Mariastella Gelmini.
 


Marcello Pacifico (Anief-Confedir): i risultati sono in linea con quelli dell’Ocse, secondo cui l’Italia rimane l’unico Paese dell’Ocse che nell’ultimo ventennio non ha aumentato la spesa per i nostri alunni. E il futuro non promette nulla di buono: con la Legge di Stabilità 2015 per il Miur sono in arrivo 1 miliardo e 411 milioni di ulteriori tagli nei soli prossimi tre anni.  

La spesa pubblica per la scuola è ferma da 15 anni: a sostenerlo è una accurata analisi realizzata dagli economisti Nicola Salerno e Stefania Gabriele, i cui primi risultati sono stati pubblicati sul sito internet reforming.it: gli studiosi sono andati a verificare, attraverso i dati ufficiali emessi dal (Conti Pubblici per Funzioni) sui finanziatori istituzionali - Stato, Regioni, Province e Comuni – gli investimenti operati su tutti i cicli scolastici nel periodo 1996-2012: dalla pre-infanzia sino alla fine delle ciclo di istruzione superiore.

Dai risultati, anticipati anche dal Sole 24 Ore, risulta in modo inequivocabile che la spesa complessiva in termini reali, ovvero deflazionati sulla base della serie storica dell’indice IPC Istat, risulta invariata: “significa che i circa 54 miliardi contabilizzati nel 2011 equivalgono, in termini di parità di potere di acquisto, all’aggregato di uscite registrato nel 1996. In pratica la costante retorica secondo cui «non bisogna mai disinvestire sull’istruzione» è solo retorica, perché si è proceduto al contrario”.

Dopo l’iniziale incremento dei primi cinque anni, tra il 1996 e il 2001, l’investimento è crollato “a causa dell’entrata in vigore il Patto di stabilità interna (2001), quell’elegante strumento che in un assetto di semi-federalismo fiscale e amministrativo come il nostro s’è tradotto in un taglio secco ai trasferimenti dalla Stato alle amministrazioni periferiche. Il secondo “fatto stilizzato” – prosegue l’analisi - lo si incontra poi tra il 2008 e il 2009, seguendo questa volta la curva della spesa corrente. Dopo aver zigzagato attorno a un più o meno 20% è riprecipitata sugli stessi valori reali nel 1996 dopo i tagli lineari varati dal Governo Berlusconi (ministro dell’Economia Giulio Tremonti e al Miur Mariastella Gelmini)”.

“Quanto confermato dai due studiosi – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – conferma i dati transnazionali pubblicati nell’ultimo anno: l’Italia rimane l’unico Paese dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria a dispetto di un aumento in media del 62% degli altri”.

Se già l’Italia spendeva il 2,8% in meno della sua spesa pubblica rispetto alla media OCSE nel 2000 (Italia 9,8% - Ocse 12,6%), dieci anni dopo si ritrova in controtendenza sempre all’ultimo posto persino tra i Paesi G20 (32° posto) con un -4,1% (Italia 8,9% - Ocse 13,0%); né la situazione è migliorata in rapporto al P.I.L., - 0,9% nel 2000 (Italia 4,5% - Ocse 5,4%) e -1,6% nel 2010 (Italia 4,7% - Ocse 6,3%), dove siamo collocati al terzultimo posto (31°).  In dieci anni la spesa pubblica italiana dedicata all’istruzione già di per sé l’80% di quella destinata dagli altri Paesi Ocse è scesa del 10% in controtendenza all’aumento seppur modesto del 3% registrato sempre negli altri Paesi, così da abbassarsi al 67% rispetto a livelli intermedi.

In termini pratici, i tagli all’istruzione hanno comportato 200mila posti in meno tra docenti e ata negli ultimi sei anni, figli dei piani di razionalizzazione (L. 244/2007, L. 133/2008, L. 111/11, L. 135/12). Un sesto dell’organico di diritto a fronte di 75mila posti ridotti nei restanti due terzi dei comparti pubblici ha portato la scuola a collezionare il 75% dei tagli adottati dalla spending review. A partire dal 2011, inoltre, una scuola su tre è stata cancellata come sede di direzione con processi di dimensionamento che oltre a ridurre l’organico di dirigenti e dsga di 4mila unità ne hanno colpito il funzionamento: con il risultato di avere dei presi costretti a gestire in media quattro plessi a distanza, senza peraltro più retribuire le reggenze affidate ai vicari (L. 135/12).

“E il futuro – continua Pacifico – non promette nulla di buono: la Legge di Stabilità 2015 prevede tagli al Miur per 1 miliardo e 411 milioni nei soli prossimi tre anni: la riduzione fissata dal Governo è di 100 milioni del fondo per l’autonomia; salteranno anche 1.591 esoneri e 3.105 semi-esoneri dei vicari, 2.500 comandi tra cui 1.371 presso gli Uffici scolastici regionali, 2.017 posti Ata in organico di diritto, le supplenze brevi per assistenti tecnici e amministrativi, stretta per docenti e collaboratori scolastici. E, come se non bastasse, verrà mortificato anche il fondo per la ricerca applicata e ridotto il fondo ordinario per gli atenei”.

Per approfondimenti:

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