"Grazie a voi, grazie a tutti e grazie al direttore Napoletano de Il Sole 24 ORE per questo invito, che è il terzo, se non ricordo male, e il secondo nella posizione in cui mi trovo di ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Grazie anche per questa veramente suggestiva apertura di riflessione che viene dal dibattito che mi ha preceduto. È difficile non cedere alla tentazione di sviluppare queste idee e anche di affermare che, se tutti i maestri e gli insegnanti italiani fossero come il Maestro Lorenzoni, francamente, forse non ci sarebbe neanche bisogno di un ministro, se non per fare una regia (Applausi) e un coordinamento delle qualità e delle eccellenze.
Il mio è un compito politico e, credo, anche culturale – parto da questo presupposto – ed è un compito, come sempre in politica, anche di rispetto di impegni e di visioni che si sono presentati in una stagione, l'anno scorso, in cui il Governo stava lavorando fortemente al tema dell'istruzione. Abbiamo avuto un dibattito acceso nel Paese per più di un anno e oggi abbiamo dei fatti nuovi.
Io qui mi ero espressa su due punti, lo scorso anno. Qualcuno lo ricorderà. In primo luogo, c'è bisogno di riportare i nostri studenti al cuore dell'identità nazionale. La nostra identità è fatta di varie componenti, ma sostanzialmente anche di una forte sensibilità e di una forte familiarità, diciamo pure istintiva, diciamo pure quotidiana, con il nostro patrimonio tangibile, ossia col patrimonio storico, culturale, artistico e musicale.
C'è bisogno che la scuola diventi di nuovo il motore di questa creazione di sensibilità. Noi abbiamo cercato di farlo e credo che l'abbiamo fatto con una legge che oggi è legge dello Stato e che, pur con alcune imperfezioni, offre una traccia e cerca di tradurre questa visione in alcune azioni concrete.
Il primo punto che voglio citare per sensibilizzare i ragazzi è far capire loro, a partire dalla scuola dell'infanzia e dalla scuola primaria, che quello che vedono nella loro città, che si tratti di Roma, di un piccolo comune o di una piccola città di provincia, è frutto di una storia millenaria che ha fatto dell'Italia la capitale indiscussa del mondo del patrimonio artistico. Per questo serve una visione, una contaminazione – se posso dire così – culturale, di sensibilità e anche emotiva, che i migliori insegnanti possono fare, e servono anche insegnanti che siano specialisti e preparati.
Con la legge n. 107 noi abbiamo assunto – stiamo definendo l'ultima fase, in queste settimane, di assunzioni – più 8.000 insegnanti preparati e specializzati in arte e musica. Complessivamente l'anno scorso erano 29.000. Si tratta di un numero significativo e di un'opportunità per la scuola italiana, nell'autonomia scolastica, che non abbiamo volutamente tradotto in più ore di storia dell'arte o in più ore di musica, proprio rispettando quella visione del laboratorio di idee e di progetti formativi che ogni scuola deve saper tradurre in quel particolare contesto. Abbiamo, però, fornito gli strumenti, le persone e la preparazione di base. Questo mi sembra un viatico e un punto di partenza molto importante e veramente fondamentale.
A mio parere, il contributo più forte che la nostra scuola può portare al titolo bello e suggestivo di questa edizione degli Stati generali della cultura, ossia investire in una nuova cultura, è un contributo che si fonda su una sfida che, di solito, è collegata al mondo della ricerca, al mondo dell'impresa, a quel mondo che è visto − a torto o a ragione − come l'anima produttiva della società, cioè l'innovazione. Invece no, amici cari. Credo che l'innovazione possa e debba partire sostanzialmente dai banchi di scuola, dalle aule e dall'insegnamento che le aule possono esprimere, da maestri ad allievi.
Si tratta di un'innovazione più profonda, in quanto va a toccare quella che, anche nel dibattito internazionale, si chiama oggi "innovazione sociale", quella che va a toccare i fondamentali dell'identità di un Paese, di una società. Noi, come Italia, nel contesto occidentale − dal mio punto di vista; voglio condividere con voi questa visione − abbiamo una carta in più da giocare, abbiamo una possibilità in più che oggi, con strumenti nuovi, risorse nuove e un investimento politico nuovo – che mi auguro si traduca anche in una partecipazione sociale a questo tema − può diventare realtà nel corso di pochi anni. La carta in più è quella di un sapere che storicamente è multidisciplinare, storicamente è fondato sull'idea che il sapere è unico. Non è una scissione, una separazione netta tra le scienze della natura e le scienze della cultura. Su questo si è basato il nostro Rinascimento, su questo si è basato quel patrimonio di cultura occidentale di cui l'Italia è stata e continua ad essere un punto di riferimento essenziale.
Se questo è vero, noi, nella rivisitazione del paradigma educativo (quando si fa una legge, non si deve solo indicare una procedura, dare risorse e fornire strumenti, pure importanti, come quelli che mi sono permessa di citare su questo argomento specifico) si deve introdurre una visione, si deve dare un'idea che la società è in grado di assorbire, di modificare e di metabolizzare, a seconda dei contesti storici.
Questa idea io la riassumo in un punto molto semplice. L'Italia può e deve diventare il punto di riferimento culturale nell'Occidente della combinazione di due dimensioni fondamentali: il patrimonio tangibile, con i monumenti che vanno dalle Tavole di Giotto ai monumenti storici che popolano le nostre città, dai più famosi ai meno noti, e il patrimonio intangibile, quel patrimonio fatto di intelligenze, fatto di giovani, fatto di ragazzi che, in qualche caso, su questo sono molto d'accordo, si disperdono stando in classe. In qualche altro caso, si disperdono anche uscendo dalle classi, ma se recuperati, se ricondotti a questa missione comune possono veramente diventare la versione innovativa di quello che oggi, nei Paesi occidentali, sta diventando il nuovo progetto educativo.
Vi ricordate l'acronimo di questo nuovo progetto educativo? STEM: Science, Technology, Engineering and Math. Lo ha detto molto bene Gianfelice Rocca all'Assemblea di Assolombarda qualche giorno fa. Lo abbiamo già recuperato nella nostra visione della scuola. Non è STEM, ma STEAM. Oltre a queste competenze che appartengono tradizionalmente alle scienze della natura, al blocco delle cosiddette "scienze dure", dobbiamo valorizzare, dobbiamo introdurre, dobbiamo mettere in una posizione complementare, continua e costante quella "A" che sta per Arts, se vogliamo usare l'anglismo. Arts non significa solo la storia dell'arte, non significa solo l'educazione musicale. Arts significa quell'approccio umanistico e quell'insieme di valori che sono i valori del pensiero critico, che sono i valori della logica, che sono i valori della filosofia, che se − e solo se − cementati fin dalla scuola primaria, in un unico progetto educativo, possono veramente diventare il modello educativo italiano. Questo significa assumersi delle responsabilità. Mi permetto. Ognuno faccia il suo. Io di mestiere, come forse sapete, sono una studiosa, una professoressa universitaria, quindi condivido anche sensazioni e visioni di impatto diretto, ma, ponendomi doverosamente nel mio attuale ruolo, significa avere la consapevolezza di quali sono i punti su cui insistere.
Sicuramente un punto è l'abbattimento di alcune barriere. L'ha detto bene Armando Massarenti, e lo ringrazio anche per questa precisione su questo punto, che secondo me è fondamentale.
Un altro punto è sicuramente il superamento degli steccati disciplinari, non solo nelle classi, ma anche nel mondo della gestione di questi processi, cioè nella politica.
Lo dico alla presenza del collega e amico, il Ministro Franceschini: credo che questo Governo abbia inaugurato una stagione straordinariamente innovativa anche da questo punto di vista. Il patrimonio tangibile di cui è responsabile il ministero diretto da Dario Franceschini e il patrimonio intangibile di cui sono responsabile nel mio ministero stanno lavorando in maniera integrata per dare questa risposta, per indicare questa strada, per dare questa nuova potenzialità di sviluppo.
C'è il superamento di una storia italiana, che ha già pensato a questo. Non ci siamo inventati qualcosa di rivoluzionario. Dire questo significherebbe misconoscere una consapevolezza dei nostri percorsi didattici e soprattutto universitari, che hanno già avuto questa intuizione. Questa è una storia fatta più di bassi che di alti. Lo dobbiamo ammettere.
Cito un esempio specifico. La facoltà di beni culturali è nata negli anni 1980 con una grande, ragionevole e legittima ambizione: diamo all'Italia il laboratorio di formazione di quegli specialisti che, uscendo dalle aule delle università, possano trovare lavoro (dove, se non in Italia?), possano applicare competenze specialistiche fondate (dove, se non nel Paese che ha il 75 per cento del patrimonio culturale e monumentale?) e che possano finalmente rappresentare una nicchia di specializzazione ad hoc.
Lo dico guardando in sala i miei colleghi (ne vedo qualcuno in prima fila): è stato un successo? È stata una strada percorsa con coraggio e determinazione? No – diciamolo – è stato un percorso incompiuto. Potrei dire anche che è stato un fallimento, ma voglio essere cauta in questo.
Perché è avvenuto questo? Perché dentro l'università la facoltà di beni culturali, come spesso avviene tra professori universitari – diciamolo pure – è diventata lettere bis. Allora, è meglio l'originale della copia, se dobbiamo dirla con molta brutalità.
Il punto cruciale su cui dobbiamo e vogliamo intervenire adesso – e credo che possiamo farlo – riguarda il mondo estero e, quindi, lo sbocco occupazionale per i 20.000 giovani iscritti nelle cinque sedi rimaste in Italia.
Io plaudo alla scelta di chi fa questi studi – sia ben chiaro – e ho il dovere di dare una prospettiva, e non di dire: «Rinuncia e fai una facoltà STEM».
Questo sbocco occupazionale è rimasto appeso. È rimasta una patente straordinariamente nobile e straordinariamente importante, ma che non poteva essere tradotta in nessuna guida di uno strumento o di un veicolo adeguato. Il mondo del lavoro, cioè la società esterna, non era stato preparato in questa direzione.
Noi ripartiamo da lì. Col protocollo che abbiamo firmato con il Ministro Franceschini qualche mese fa, abbiamo individuato alcuni punti di lavoro fondamentali.
Uno – lasciatemelo dire – è lo schema dell'alternanza scuola-lavoro applicato al mondo dei beni culturali, alla gestione e alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale.
Abbiamo un progetto, che può diventare un progetto bandiera, ma che non è sicuramente l'unico. Forse è quello che ci apre simbolicamente la pista. Mi riferisco al Progetto Pompei, che interessa quindici scuole e mille allievi già coinvolti in questo processo a cui i nostri tecnici stanno lavorando da alcuni mesi.
Nel corso dei prossimi mesi questo progetto potrà far sì che quel territorio si appropri dell'identità che Pompei rappresenta.
Non si tratta solo di un'alimentazione dell'offerta, cioè del fatto che questi ragazzi potranno diventare, nei cinque percorsi che ora vi denuncio, specialisti di diagnostica del restauro o specialisti di gestione del patrimonio verde che sta intorno al sito, come in tutti i siti archeologici del Paese.
Noi dobbiamo vederlo anche come un alimentatore di sensibilità, signori. Se non si crea una domanda, se non si crea l'ansia di voler fruire di un bene culturale, se non si crea una riaccensione della sensibilità storica, che – vogliamo dirlo – è rimasta un po' sepolta nella storia recente del nostro Paese, non c'è legge, non c'è provvedimento, non c'è classe politica, non c'è Governo della Repubblica che possa dare al nostro Paese un indirizzo diverso.
Questo modello di alternanza funzionerà. Ci hanno detto che non è quello duale. Non è quello duale perché i tedeschi lo fanno meglio e perché sono abituati all'impresa che accoglie, figurarsi se le Sovrintendenze, figurarsi se gli Uffizi sono pronti ad accogliere studenti in formazione. No. Io dico che funzionerà, perché siamo l'Italia, funzionerà perché solo in Italia si può applicare questo schema e solo in Italia si può tradurre l'idea standard, che è funzione in molte parti del mondo, di un laboratorio che fa alternanza, magari sulla progettazione CAD di un laboratorio che è la versione del terzo millennio di quello che un tempo erano i laboratori degli istituti tecnici e professionali.
Se voi traducete visivamente, anche forse con un briciolo di ambizione visionaria, che sempre è necessaria per andare avanti e fare vera innovazione, questa immagine nell'immagine degli Uffizi, nell'immagine di Pompei, nell'immagine anche di un piccolo museo o di una piccola realtà nella nostra Provincia che ne è ricca – solo Firenze, se non ricordo male, il Sindaco mi diceva qualche giorno fa, ha 2.200 musei sparsi nella città dedicati non solo ai temi dell'arte, ma anche a quelli della scienza – se noi questo patrimonio disseminato riusciamo a collegarlo sistematicamente con il percorso di formazione ecco che allora quell'innovazione sociale, quella "A" in quella sequenza che nel mondo è tanto di moda, che tanto sembra poter favorire la crescita di alcuni Paesi e quindi il loro vantaggio competitivo, credo che darà al nostro Paese quella competizione e anche quella voglia di essere più cooperativi nello scenario internazionale, che veramente esso merita.
Voglio concludere con una nota molto personale. Agire sull'offerta, agire sulla domanda, recuperare un'identità e un patrimonio storico-culturale sono doveri civili, nemmeno politici e ovvi per ciascuno di noi, qualunque sia il nostro ruolo nella società, ma forse chi fa politica in questo periodo, chi la fa nel mondo occidentale, chi la fa in un Paese come l'Italia, non può chiudere gli occhi di fronte a quello che sta succedendo dall'altra parte del Mediterraneo, ovvero la distruzione dei beni materiali, del patrimonio tangibile di alcuni Paesi.
Penso al simbolo dell'iconoclastia più feroce degli ultimi tempi, Palmira. Non voglio scandalizzarvi, ma non è un evento meno drammatico dal punto di vista della sua profondità, del suo valore, della morte di un barcone contenente migranti. È l'assassinio di un pezzo della nostra identità. L'Italia ha fatto una cosa molto bella, riconosciuta mi sembra recentemente da UNESCO, cioè l'istituzione dei caschi blu.
Tuttavia, non è solo l'azione politica che ha un suo valore a livello internazionale. È creare quella sensibilità che faccia scandalizzare, che spaventi, che crei una reazione emotiva diffusa nella società, soprattutto nei giovani della nostra società. Se noi riusciamo a fare questo, e se abbiamo un obiettivo ambizioso, come lo abbiamo in questa fusione tra ciò che tocchiamo, vediamo e ammiriamo nella bellezza storica, ciò che è nella nostra coscienza in filogenesi come popolo, come modello educativo, riaggiornandola alla nuova missione, io credo che anche una legge dello Stato, anche un protocollo tra Ministeri, anche un'azione condivisa di Governo può veramente diventare una prospettiva che innova radicalmente e cambia il Paese nel mondo".