Roma, 6 ottobre 2016 – Molto informati e critici sulle politiche del lavoro, ma altrettanto sfiduciati nei confronti delle istituzioni, intenzionati a raggiungere una competenza specializzata e personalizzata e consapevoli dell'importanza delle reti relazionali come punto di riferimento anche nella progettualità lavorativa, con al primo posto la famiglia.
Sono queste le caratteristiche principali del profilo emerso dall'indagine "I giovani e il lavoro, prospettive e ricerca di senso" condotto su un campione di mille ragazzi italiani tra i 18 e i 34 anni a cui è stato chiesto di rispondere a 6 quesiti sul loro rapporto con il lavoro, con la politica, con il desiderio di autorealizzazione e con il senso di vita collegati al proprio futuro professionale.
La ricerca, presentata oggi all'Università La Sapienza di Roma, è stata condotta dalla Fondazione Patrizio Paoletti, ente nazionale di ricerca riconosciuto dal MIUR (Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca).
Il dato più rilevante è la sfiducia nelle istituzioni: l'86% dei giovani intervistati, infatti, si dice "per niente" o "poco soddisfatto" di come le istituzioni rispondono alla questione dell'occupazione giovanile. In particolare, le donne tra i 18 e i 26 anni mostrano maggiore sfiducia, con una tendenza a non evidenziare cambiamenti effettivi derivati dalla governance politica.
Il lavoro non è percepito esclusivamente come un mezzo per mantenersi, ma per molti giovani è l'espressione dello scopo della propria vita. Il 45,7% di loro, infatti, considera il lavoro "un modo per esprimere le proprie capacità", una percentuale di poco inferiore (33,9%) lo vede come "una scelta che si collega al senso e allo scopo della mia vita", mentre la minoranza (9,7%) considera "non importante dare un senso al proprio lavoro".
La necessità di partire da sé, attingendo al proprio mondo interno e ai propri valori, sostiene il giovane alle prese con le sfide dei tempi attuali. Per i giovani, infatti, realizzarsi professionalmente significa sentirsi coerenti con le proprie aspirazioni e i propri valori (28,5%) e cercare di formarsi e lottare per un lavoro che piace veramente senza comunque rinunciare alla progettualità futura (27,2%).
I più, inoltre, sono pronti a rispondere alla precarietà con adattabilità e processi di reinvenzione di se stessi, mettendo in campo specifiche competenze. Riguardo ai fattori che consentono di realizzarsi professionalmente, infatti, il 31% sceglie "essere orgogliosi dei propri successi e considerare gli insuccessi come tappe per crescere e migliorarsi", il 23,9% "tenersi pronti sia a nuove opportunità che a nuovi ostacoli" e il 20,6% "sviluppare nuove competenze professionali e tenersi aggiornati".
Altro campo interessante che emerge dallo studio è l'impiego da parte dei giovani delle reti relazionali come risorsa per raggiungere i propri obiettivi. Per la maggioranza degli intervistati il punto di riferimento principale è la famiglia, scelta dal 46%. Al secondo posto (17,2%) gli insegnanti e i formatori e al terzo (15,8%) gli amici. Questo dato conferma, per le istituzioni e le agenzie educative, l'importanza di sostenere le figure genitoriali nel delicato ruolo di guida e orientamento alle nuove generazioni.
"Il fatto di occuparci del nostro mondo interiore è divenuto un'imperante necessità non solo per i giovani ma anche per gli adulti che preparano i giovani al mondo e che creano condizioni e contesti adeguati a livello sociale ed economico" commenta Patrizio Paoletti, fondatore e presidente dell'omonima Fondazione. "L'obiettivo di quanti si occupano di fornire strumenti di cambiamento è trasformare il disorientamento e l'incertezza in una più profonda ricerca sul senso e sul significato della propria vita. È infatti la consapevolezza delle proprie intime aspirazioni e delle domande di senso che darà ai giovani la possibilità di cambiare nel mondo che cambia creando nuove regole di vita e di condivisione".
Nessun commento:
Posta un commento