I rapporti Ue e della Ragioneria generale dello Stato
confermano il trend negativo: quasi tutti i paesi d’Europa fanno registrare
aumenti di stipendio, mentre da noi addirittura si arretra. Intanto, i
magistrati guadagnano 5 volte di più.
Marcello Pacifico (presidente Anief): l’ultima speranza sono i giudici della Consulta, gli stessi che hanno
decretato illegittimo il blocco delle pensioni. Nel frattempo tanti docenti
però si ammalano, perché lo stress da insegnamento conduce verso patologie
psichiatriche e inabilità al lavoro.
Sul fronte degli stipendi degli insegnanti e del personale della Scuola,
l’Italia è nella lista nera dei paesi che non concedono aumenti: tra i 36 paesi
europei esaminati nel rapporto ‘Teachers' and School Heads' Salaries and
Allowances in Europe, 2014-2015’, la nostra Penisola si colloca mestamente nel
gruppetto – assieme a Grecia, Cipro, Lituania, Slovenia e Liechtenstein – che nel
2014 ha negato incrementi in busta paga rispetto all’anno precedente. In ben 23
paesi, invece, sono state attuate riforme salariali e aggiustamenti stipendiali
al costo della vita. Stiamo assistendo, chiaramente, scrive
l’Ansa, ad “un nuovo trend che inverte la rotta rispetto ai tagli effettuati
in molti paesi negli anni precedenti dovuti alla crisi economica. Croazia,
Slovacchia e Islanda, per esempio, hanno effettuato riforme nel sistema di
retribuzione, mentre in Spagna sono aumentati i supplementi eliminati o ridotti
negli anni precedenti. In Lussemburgo, Repubblica ceca, Romania e Malta,
invece, sono stati rivisti al rialzo gli stipendi dei dipendenti pubblici, in
cui rientrano anche gli insegnanti”. E tra costoro c’è anche la Germania, dove
un insegnante guadagna in media il doppio dei nostri docenti e può lasciare il
lavoro dopo 24 anni di contributi.
La notizia del congelamento degli stipendi fa il paio con quella della
Ragioneria generale dello Stato, che è andata a verificare l’entità dei
compensi assegnanti a tutti i comparti pubblici italiani. Anche in questo caso,
docenti e Ata figurano in fondo alla classifica, addirittura facendo registrare
nel 2013 un -3% rispetto all’anno precedente. I compensi medi di chi lavora
nella scuola non arrivano, infatti, a 30mila euro. Mentre la media della PA è
sui 35mila euro. E altri contesti ministeriali viaggiano su ben altre cifre,
come i magistrati che portano “a casa” ogni anno oltre 142mila euro e nel 2013
non si sono fatti nemmeno mancare un +0,6% di incremento. Il risultato di
questa anomalia è che, scrive
Il Tempo, “un «prof» italiano porta a casa
un salario medio di 1300-1500 euro contro i 7-8 mila di un giudice”.
A rendere ancora più deprimente il quadro
relativo ai nostri docenti è poi un altro rapporto, stavolta di Eurostat, che
sottolinea come nel 2013 la percentuale europea più alta di insegnanti ultra
50enni si sia registra in Italia, con il 61,9%. Tutti gli altri paesi del
vecchio Continente sono fortemente distanziati, Bulgaria (47,7%), Estonia
(43,1%), Lituania (42,1%), Svezia (41,7%), Lettonia (41,2%) e Grecia (40,1%).
“Quindi – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief - i nostri docenti
risultano i meno pagati, a livello nazionale ed europeo, e sempre più avanti
negli anni. Con prospettive di peggioramento. Perché lo sciagurato accordo
interconfederale del 4 febbraio 2011 (non firmato da Flc-Cgil e Confedir) e
il successivo atto di
indirizzo all’ARAN del 15 febbraio 2011 hanno di fatto bloccato l’anzianità
di servizio maturata dai neo-assunti per realizzare gli obiettivi di invarianza
finanziaria. E i 200 milioni l'anno, previsti
dalla Buona Scuola per incentivare il merito professionale, figli del Decreto
Legislativo 150/09, non sono altro che un aumento per pochi intimi da assegnare
solo a chi sfodererà nel corso dell’anno scolastico particolari performance
professionali, in perfetto stile aziendale”.
Nella Legge
107/15, al comma 129, viene introdotto il nuovo nucleo di valutazione
d’Istituto, poi da conformare alle linee guida ministeriali. Il vero problema è che nella scuola, nel frattempo, gli
stipendi sono fermi da quasi sette anni, per via della legge Tremonti 122/2010 fino al 2012, e sono
stati superati di 4 punti dall’inflazione. Perché poi è arrivata la proroga del
Governo Letta (DPR
122/2013), nonostante siano stati pagati gli scatti per il biennio
2010-2011 ma ai valori del 2009, grazie ai tagli di 50mila posti di lavoro e
alla riduzione di un terzo del Mof, con tanto di perdita di 500 milioni di
euro. Anche il Governo Renzi ci ha messo del suo, confermando a fine 2014, con
la Legge di Stabilità (L. 190/14),
il blocco dell’indennità di vacanza contrattuale, implicitamente anche degli
stipendi, fino a tutto il 2018.
“In attesa che i giudici si esprimano negativamente su questo andare, dopo
averlo fatto con la sentenza n. 70/2015 emessa dalla Consulta il 30
aprile scorso sul blocco delle
perequazioni sulle pensioni disposto dal Governo Monti nel 2011, i nostri
docenti appaiono schiacciati da norme ingiuste e penalizzanti”, continua il
presidente Anief.
“Basti pensare all’effetto trascinamento della riforma Fornero che nel 2018 porterà la pensione di vecchiaia alle
soglie dei 68 anni. Con prospettive di pensioni sociali, considerando che
già oggi per più di quattro pensionati su dieci
l'assegno non arriva neppure a mille euro al mese. Con le nuove generazioni di prof, che dovranno
fare i conti con il penalizzante sistema contributivo. Eppure – conclude
Pacifico - è stato accertato che quello dell’insegnante è un mestiere
fortemente logorante, che più di tanti altri conduce verso patologie psichiatriche
e inabilità al lavoro. Il tutto per uno stipendio più basso di un impiegato”.
Per approfondimenti:
6 ottobre 2015
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