La decisione di non approvare un D.P.R.
e di limitarsi alla creazione di 8 ambiti disciplinari porterà tantissimi
docenti ad insegnare materie affini, ma non corrispondenti alla propria e senza
abilitazione specifica. Il tutto, si è concretizzato ignorando le richieste
giunte da sindacati, parti sociali e commissioni parlamentari, che chiedevano
una vera revisione delle classi di concorso, da adattare ai nuovi percorsi
d’istruzione. È un escamotage, che permette all’amministrazione di collocare con
facilità il personale da assumere (o da collocare con la mobilità) ma che
penalizza molto la qualità dell’insegnamento e della didattica.
Esemplare il commento di Tuttoscuola: “l’aggregazione sminuisce la specializzazione
e può attenuare la competenza del docente. Un rischio che si intende correre
per garantire maggiore flessibilità all’elefantiaco sistema”.
Marcello Pacifico (presidente Anief): fa scalpore che
dopo tanto dibattere, l’amministrazione abbia ‘partorito’ un testo che svilisce la professionalità dei futuri
docenti, obbligandoli a confrontarsi con programmi non attinenti al loro
vissuto formativo universitario. Con l’aggravante della presenza, nel bando
inviato al Cspi e di cui si attende il parare, di prove orali di “carattere
nozionistico”, tanto da creare delle lotte intestine nel partito di maggioranza.
A pensarci bene, si tratta di aree disciplinari simili a quelle su cui sono
stati chiamati a votare nelle scorse settimane i collegi dei docenti per
associarle all’organico potenziato.
Il
concorso a cattedra per 63.712 posti nasce sotto una cattiva stella: la lunga
attesa per la formazione delle nuove classi di concorso, che ha portato a
tutt’oggi alla mancata pubblicazione dei tre bandi di selezione malgrado il comma
114 delle Legge 107/2015 avesse indicato come termine ultimo il 1° dicembre
scorso, ha infatti prodotto solo otto enormi “contenitori” di materie
d’insegnamento, chiamati dal Miur ambiti disciplinari, all’interno dei quali
sono stati aggregate le oltre 150 classi di concorso della scuola secondaria.
Si tratta
di un escamotage, che se da una parte permette all’amministrazione di collocare
il personale da assumere (o da spostare, attraverso la mobilità annuale) con
estrema facilità, dall’altra penalizza, pure di molto, la qualità
dell’insegnamento e della didattica. Perché la decisione di non approvare un
D.P.R. specifico per le nuove classi di concorso, ma di limitarsi agli ambiti
disciplinari porterà tantissimi docenti ad insegnare materie affini, tuttavia
non corrispondenti alla propria e pur non in possesso dell’abilitazione
specifica. Il tutto, si è concretizzato ignorando le richieste giunte da
sindacati e parti sociali, ma anche dalle commissioni parlamentari, che
chiedevano una vera revisione delle classi di concorso, in chiave moderna e da
adattare ai nuovi percorsi d’istruzione.
La
risultanza di questa scelta è che il servizio formativo prodotto, sulla base di
questo modello che porta in cattedra docenti inappropriati, non potrà di certo
essere di primo livello, come invece il Governo ci vuole far credere. “Ma in
questo modo – ha
commentato la rivista specializzata Tuttoscuola - l’aggregazione sminuisce
la specializzazione e può attenuare la competenza del docente. Un rischio che
si intende correre per garantire maggiore flessibilità all’elefantiaco sistema”.
Se a tutto
ciò aggiungiamo che, a cinquanta giorni dal tempo massimo concesso per legge,
sul testo del bando di concorso siamo ancora in alto mare, allora la situazione
è davvero preoccupante: perché, ricordiamo, il regolamento della selezione per
nuovi docenti deve ancora essere esaminata sia dal Consiglio di Stato che dal
Cspi, appena rinnovato.
“Si sta
per varare un concorso a cattedra – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief
– sulla base di un modello che si rifà a quello dell’ultimo bando, datato 2012.
Anche sul fronte dell’idoneità e degli esami finali. Fa scalpore che dopo tanto
dibattere e il confronto con gli esperti, l’amministrazione abbia ‘partorito’
un testo che svilisce la professionalità dei futuri docenti, obbligandoli a
confrontarsi con programmi non attinenti al loro vissuto formativo
universitario”.
“Con
l’aggravante – continua Pacifico - della presenza, nel bando inviato al Cspi, di
prove
orali di “carattere nozionistico”, tanto da creare delle lotte intestine
nel partito di maggioranza. E, a pensarci bene, si tratta di aree disciplinari
non troppo diverse da quelle su cui sono stati chiamati a votare nelle scorse
settimane i collegi dei docenti di 8.500 istituti a proposito delle priorità da
associare ai 5-8 posti dell’organico potenziato. Con l’obiettivo, anche in quel
caso, di fornire poi alle scuole non sempre i docenti più utili. La morale è
che questa procedura selettiva, al pari delle
nuove regole sulla mobilità, non porterà verso alcuna Buona Scuola”.
Anche
perchè i “buchi” del concorso che verrà non terminano qui. Perché il Miur si è
ostinato a volerlo aprire ai soli abilitati, lasciando fuori i giovani
laureati. Contravvenendo alle sentenze
definitive di Tar e Consiglio di Stato Consiglio
di Stato, emesse su impugnazione dell’Anief, sostenevano esattamente il
contrario. Tra i docenti che non potranno partecipare figurano poi i precari
storici, con 36 mesi di servizio svolto. Risultano
ignorate le loro proteste, di cui si è fatto carico il sindacato, a cui
poteva essere riservata la metà dei posti a legislazione vigente: vengono
esclusi, infatti, dalla candidatura sugli stessi posti che da anni coprono come
supplenze. Molti dei quali hanno già avviato vertenze milionarie per ottenere
risarcimenti danno.
Eppure,
l’articolo 35, comma 3-bis, lettera a) del decreto
legislativo 165/2001, introdotto con la Legge di
stabilità 147/2013, riconosce la possibilità di indire un concorso pubblico
con riserva, nel limite del 40% dei posti banditi, ai dipendenti a tempo
determinato che, alla data di pubblicazione del bando, abbiano maturato almeno
tre anni di servizio presso la stessa amministrazione pubblica che emana il
bando di concorso. Una norma, tra l’altro, ribadita dalla Funzione pubblica,
con la Circolare
5/2013. Anief
trova poi scandaloso che sempre dal concorso a cattedra siano stati esclusi gli
specializzandi nel sostegno, i quali hanno preso parte da tempo a dei corsi
universitari, pagati di tasca loro oltre 3mila euro, ma che per delle
lungaggini di cui non hanno colpa ancora non hanno concluso.
Tra le
novità che il bando di concorso dovrebbe introdurre, attraverso i “requisiti
culturali e professionali in ordine al settore o ai settori disciplinari
previsti da ciascuna classe di concorso” previsti
dall’allegato A, figura la “conoscenza di una lingua straniera comunitaria
al livello B2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue straniere”:
ciò verrà verificato, sia attraverso la somministrazione di due degli otto
quesiti della prova scritta in lingua straniera, sia nella preparazione, per i
candidati di discipline linguistiche, di prove interamente in lingua straniera.
Altri contenuti da rilevare sono poi quelli della “conoscenza della
legislazione e della normativa scolastica”, oltre che dei precipui ambiti
disciplinari.
Sono
questi, tutti contenuti che Eurosofia, in collaborazione
con Anief, ha già inglobato nel suo corso di preparazione utile al
superamento di tutte le prove dell’imminente concorso a cattedra: il corso di
formazione è di 120 ore, di cui 100 ore in modalità e-learning, 10 ore di simulazioni
e 10 ore in presenza, prevede la preparazione al superamento delle prove per
tutte le classi di concorso.
Per approfondimenti:
19 gennaio 2016
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