Le rassicurazioni giunte ieri a
Roma nel corso della presentazione della riforma ‘La Buona Scuola’, in
occasione del primo anno del Governo Renzi, non reggono: la realtà è che i
numeri sulle assunzioni indicati nel corso della giornata PD sono al ribasso e
che per tanti supplenti non vi è alcuna garanzia, malgrado fossero in possesso
dei titoli e dei servizi per accedere all’immissione in ruolo. Si cominci con
lo stabilizzare il 90 per cento dei precari con supplenza annuale al 30 giugno:
in realtà lavorano su posti vacanti e rientrano nei parametri indicati dalla
Corte di Giustizia europea lo scorso 26 novembre.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir):
immetterli in ruolo comporterebbe un guadagno per le casse pubbliche di un
miliardo e mezzo. Inoltre, assumendoli si collocherebbero questi docenti
all’interno dell’organico funzionale, mettendo davvero gli istituti scolastici
nella condizione di poter attuare quella autonomia che da 15 anni è stata
introdotta solo sulla carta. Le altre emergenze sono l’incremento del tempo
scuola e dello stipendio del personale.
Dal Governo continuano
ad arrivare rassicurazioni sull’assunzione di tutti i precari della scuola, ma
si tratta di dichiarazioni di circostanza: la realtà è che i numeri sulle
assunzioni indicati ieri nel corso della giornata PD sulla Buona Scuola sono al
ribasso e che per
tanti supplenti non vi è alcuna garanzia, malgrado fossero in possesso dei
titoli e dei servizi per accedere all’immissione in ruolo. L’Esecutivo farebbe
bene a valutare meglio la situazione, andando a verificare anche i periodi di
servizio pregressi dei 70mila docenti che nel corso del presente anno
scolastico hanno sottoscritto una supplenza fino al 30 giugno 2015: il Governo,
infatti, scoprirebbe che circa il 90 per cento avrebbe diritto ad un contratto
fino al 30 giugno, basti pensare a quasi la metà che opera sul sostegno, perché
operano su cattedre a tutti gli effetti vacanti.
“Siccome risarcire
questi insegnanti costerebbe una cifra vicina ai due miliardi di euro – spiega Marcello
Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - sarebbe moto più proficuo assumerli: prima di
tutto perché, visto che la logica che guida da diversi anni lo Stato italiano è
il risparmio, il guadagno per le casse pubbliche sarebbe di un miliardo e mezzo:
un concetto, peraltro, ribadito proprio oggi dalla stampa specialistica,
secondo cui ‘assumere
in ruolo i precari della scuola costerà meno che risarcirli’. In secondo
luogo, perché assumendoli si collocherebbero questi docenti all’interno
dell’organico funzionale, mettendo davvero gli istituti scolastici nella
condizione di poter attuare quella autonomia che da 15 anni è stata introdotta
solo sulla carta. Tenere invece fuori questi docenti dal piano di assunzioni
equivarrebbe ad un secco rifiuto di quanto stabilito lo scorso 26 novembre
dalla Corte di Giustizia europea”.
Allo stesso modo, Anief
ricorda che vanno stabilizzati tutti quegli insegnanti in possesso di regolari
titoli, equivalenti a quelli conseguiti dai colleghi inseriti nelle GaE fino al
2011: il fatto che la loro abilitazione sia stata conseguita tramite TFA, PAS,
SFP, Diploma magistrale, all’Estero, oppure abbiano operato nell’AFAM per più
di 360 giorni, non vuol dire che valgano meno di quelle conseguite per altre
strade formative e professionali.
“Altrimenti, sarebbe sempre
più evidente – continua il sindacalista Anief-Confedir – che l’Italia
realizzerà una riforma della scuola senza tenere conto delle lampanti
indicazioni provenienti da quell’Unione Europea, di cui è membro fondatore.
Quello che ancora non è chiaro, evidentemente, è che esiste un’Europa delle
direttive che deve essere inevitabilmente riportata a livello di normativa
nazionale: il tempo delle deroghe è scaduto da tre mesi”.
“Se poi nella riforma si
ripristinasse quel sesto di tempo scuola tagliato negli ultimi sei anni,
facendo arretrare i nostri studenti nelle classifiche internazionali
sull’apprendimento, in particolare sulle discipline scientifiche, si attuerebbe
anche un inizio di controriforma Gelmini. Per voltare pagina rispetto
all’ultimo periodo, funestato dai tagli, bisognerebbe infine tornare ad
assegnare al personale uno stipendio dignitoso, mettendo in busta paga 60 euro
di aumento mancato dal 2010. E non, come vorrebbe il Governo, farli passare
attraverso una sorta di carriera selettiva solo dal 2018. Lo ribadiamo: anche
l’Anief è per il merito, ma – conclude Pacifico - si deve conquistare a parità
della difesa della dignità e della professione”.
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