Ieri la
trasmissione ‘Presa Diretta’ ha rivelato che gli istituti aspettano invano da
10 anni oltre 500 milioni di euro per il loro funzionamento e che senza i
contributi dei genitori non potrebbero più andare avanti. Oggi l’Ocse ha
ricordato che la spesa per l'istruzione è "scesa ben al di sotto della
media". In Italia si spende per la crescita delle nuove generazioni il 4,6%
del Pil; in Danimarca il 7,9% e negli Stati Uniti il 6,9%, ma fanno meglio di
noi anche tutti Paesi più vicini all’Italia, come Regno Unito (6,4%), Paesi
Bassi (6,2%), Francia (6,1%),
Marcello
Pacifico (Anief-Confedir): tutto questo è
frutto di un’escalation di accordi a
perdere, tesi al risparmio statale, di cui si sono resi protagonisti anche i
sindacati più rappresentativi del settore scuola sottoscrivendo contratti che
non tutelavano gli interessi dei lavoratori.
Anche la Rai e l’Ocse danno ragione
alla tesi del sindacato: i tagli alla scuola stanno mettendo in ginocchio il
nostro sistema di istruzione. È stato detto a chiare lettere ieri sera durante la trasmissione
‘Presa Diretta’, su Rai Tre, durante la quale si è ricordato che le scuole negli
ultimi dieci anni hanno aspettato inutilmente oltre 500 milioni di euro
indispensabili per il loro funzionamento, con le famiglie che sono dovute
subentrare, autofinanziandosi, per far svolgere attività di recupero e
progetto. E vale più di qualsiasi commento quanto accaduto al liceo Caravaggio
di Roma, dove il dirigente scolastico è stato anche bacchettato dal Miur per
aver anticipato i soldi per i corsi di recupero delle lacune degli studenti:
per l’amministrazione avrebbe dovuto, invece, aspettare di avviare un
contenzioso. Senza, peraltro, dare inizio ad alcun corso per gli studenti.
Lo stato di declino della nostra
scuola è ribadito oggi l’Ocse, che con il rapporto 'Going for Growth' conferma
le poche risorse destinate al settore: secondo l’Organizzazione
per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, infatti, l'Italia deve
"migliorare equità ed efficienza" del suo sistema educativo, che
"ha un basso rapporto tra qualità e costo e dovrebbe fare di più per
migliorare le opportunità per i meno qualificati". L’Ocse fa notare, in
particolare, che nel nostro Paese per la spesa per l'istruzione è "scesa
ben al di sotto della media".
I dati, come se non bastasse, sono in
linea con quelli dell’Annuario statistico
italiano pubblicato
di recente dall’Istat, in base al quale l'Italia si classifica ultima
nell’Unione Europea per la spesa pubblica nell'istruzione. Analizzando la
Tavola 7.20 - collocata a pagina 269 del corposo rapporto annuale - si evince
che il nostro Paese riserva alla crescita e alla cultura dei sui giovani appena
il 4,6% del Prodotto interno lordo. La graduatoria è guidata dalla Danimarca
(7,9% di “Spesa pubblica per l’istruzione in % sul Pil”), ma fanno meglio di
noi anche tutti Paesi più vicini all’Italia, come Regno Unito (6,4%), Paesi
Bassi (6,2%), Francia (6,1%), Portogallo (5,5%) e Germania (5,1%).
La stessa Spagna, che non brilla di
certo per le condizioni economiche statali, riesce comunque a dedicare alla
cultura delle nuove generazioni il 5,5%, che corrisponde quasi ad un punto
percentuale in più rispetto all’Italia. Dall’indicatore, che si riferisce a
tutti i livelli d'istruzione e considera come fonti di finanziamento le spese
dirette pubbliche per gli istituti scolastici e i sussidi pubblici alle
famiglie, emerge quindi un dato inequivocabile: su questo capitolo di spesa,
l’Italia si piazza mestamente in fondo alla classifica dei Paesi europei. E
anche rispetto agli Stati Uniti (6,9%) la nostra spesa pubblica per
l’Istruzione è irrisoria. Superano ampiamente il nostro Paese anche l’Australia
(5,8%) e il Giappone (5,1%).
Già nel 2012, la riduzione del 5% del
finanziamento dedicato nel 2011 al settore dell’istruzione, dell’università e
della ricerca, sia stata operata dai Governi di sedici Paesi della Comunità
Europea, tra cui l’Italia dove però i tagli hanno continuato a investire anche
la spesa per studente, già sotto la media UE, in cattiva compagnia di Spagna,
Croazia, Bulgaria, Lettonia e Romania. L’Italia è l’unico Paese dell’Ocse che
dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e
secondaria a dispetto di un aumento in media del 62% degli altri.
Secondo Marcello Pacifico, presidente
Anief e segretario organizzativo Confedir, “quanto rilevato dai dati nazionali
ed internazionali è frutto di un’escalation
di accordi a perdere, tesi al risparmio statale, di cui si sono resi
protagonisti anche i sindacati più rappresentativi del settore scuola
sottoscrivendo contratti che non tutelavano gli interessi dei lavoratori: basta
dire che se quest’anno i fondi destinati al
Miglioramento dell’offerta formativa sono stati di appena 642.770.000 euro per le oltre 8.400
scuole italiane, lo si deve a quel CCNL del 13 marzo 2013, all’art. 2, comma 1,
che ha più che dimezzato i fondi destinati al Mof tre anni prima, quando erano
stati assegnati 1.480 milioni di euro. Operazione ribadita poi questa estate”.
Anief ricorda che il Mof serve a
garantire la retribuzione di attività aggiuntive di insegnamento finalizzate
all'arricchimento e alla personalizzazione dell'offerta formativa, oltre che
per le ore prestate dai docenti della secondaria superiore per l'attuazione dei
corsi di recupero per gli alunni con debito formativo e per tante altre
attività. La riduzione più che doppia, che penalizza i docenti impegnati in
queste iniziative a completamento della didattica, si deve ancora una volta
alla copertura degli scatti di anzianità dei docenti.
“Anziché pensare a mutare la
‘carriera’ dei docenti, il Governo farebbero bene ad adeguare da subito gli
stipendi e le indennità per le attività aggiuntive. Come sindacato abbiamo
calcolato che continuano a mancare in media 90 euro mensili a dipendente dal
2010. Sia per il cronico mancato rinnovo contrattuale, sia per colpa del comma
452 dell'articolo 1 della Legge di Stabilità 2014, la 147/13, che ha di fatto
bloccato lo stipendio ai valori del 2009 e lasciandolo 4 punti sotto
l'inflazione. Con un danno economico complessivo per ogni lavoratore che arriva
a 10mila euro. E con il contratto bloccato fino al 2018 – conclude Pacifico –
il debito dello Stato verso i lavoratori della scuola sarà sempre più grande”.
9 febbraio 2015
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